sabato 23 giugno 2012

Nido o prigione?

Leggendo un bel post di Laura di Vivere a piedi nudi, mi sono ritrovata a pensare al significato più profondo che attribuiamo alla nostra casa e come questo influisce pesantemente in tutte le scelte che facciamo nella vita.

Mi è chiaro che per essere veramente liberi, senza zavorre e preoccupazioni, l’ideale sarebbe vivere in albergo o in camere ammobiliate, avere una casella postale e una carta di credito così da poter cambiare spesso, portandosi appresso solo una valigia con lo stretto indispensabile.

Riuscire a non legarsi a nulla di materiale. Guardare solo al lato pratico. 

Si potrebbe allora decidere di partire in qualsiasi momento. 
Si potrebbe cambiare residenza senza alcun problema burocratico, senza dover disdire utenze e cambiare documenti, senza strascichi di caparre da recuperare e imballi da smaltire.

Una vita nomade. C’è chi lo fa. C’è chi ci riesce.

Chi non deve preoccuparsi per il mutuo e le piante da annaffiare in vacanza. 
Chi non è prigioniero delle proprie collezioni, dei propri libri, dei propri mille vestiti e scarpe.

Quante volte di fronte ad una proposta improvvisa di cambio di lavoro o di trasferimento per amore, dopo il primo “Sì” entusiastico ci siamo bloccati e abbiamo iniziato ad enumerare tutti i disagi che questo comporterebbe?   

Doversi spostare. 
Dover iniziare l’iter di tutti i cambi, dal medico di base al dentista, dalla parrucchiera all’idraulico di fiducia. Ricostruirsi il nido da un’altra parte…

Io adoro la mia casa. Anzi ho adorato tutte le mie case. 
Ho fatto sei traslochi nella mia vita e ogni volta è stata dura.

In realtà io sono così legata al nido che mi costruisco che soffro anche quando lascio stanze di albergo nelle quali ho soggiornato più di tre giorni o case affittate per le vacanze.

Riesco a ricrearmi uno spazio personale in poco tempo e così sistemo alcuni oggetti che “fanno casa” e che contribuiscono fatalmente a rendermi penoso il distacco.

Freddamente ipotizzo scelte di vita diverse che mi avrebbero portato a girovagare libera per il mondo, ma invece sono malata di casalinghitudine senza speranza.

Perfino dopo una gita meravigliosa, ad un certo punto, non vedo l’ora di tornarmene a casa.
Tra le mie quattro mura, circondata da tutti gli oggetti accumulati negli anni, ognuno con la sua storia, i mobili, i quadri, i tappeti….polvere di casa mia!
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4 commenti:

  1. Ecco appunto... Ehi ma ci sono anch'io in questo post! Olè, ho lasciato un segno ai posteri hehehe!
    Ma sai quante volte presi dallo sconforto abbiamo ragionato su "chi ce l'aveva fatto fare" e su come sarebbe stato diverso non avendo questi "doveri" e questi "legami" con la casa? Poi però io sogno la ribellione e una vita nomade ma dentro sono un'abitudinaria.. tendo a costruirmi una nicchia, un nido ovunque, anche al lavoro, ed ogni cambiamento è una tragedia! Quindi non so.. sarà forse una dolce prigione! :)

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  2. Vabbeh... La casa e' una prigione anche perché con i sacrifici che si fanno, a volte viene davvero da chiedersi chi ce lo ha fatto fare, come dice Laura.... Pero' siamo tutte d'accordo che, nonostante tutto, bene come a casa nostra non si sta da nessuna parte. Quindi, io dico che vale il sacrificio! Buona domenica!!! :)

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  3. Forse, forse dovevamo nascere tartarughe...

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  4. Potrei scrivere un libro su questo argomento! credo che un po' di malinconia nel lasciare una casa sia inevitabile, tanto più se ci si è messo il cuore, come d'altro canto l'entusiasmo per il nuovo. Io da un anno vivo questa ambivalenza (e credo si capisca!)... e non è sempre facile, devo ancora capire quale sia "casa"!

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