martedì 30 agosto 2011

Storie di animali

Questa mattina mentre ero nella sala d’aspetto del nostro veterinario, chiamato amichevolmente “lo zio”, ho atteso per una buona mezz'ora il mio turno per fare la vaccinazione annuale a Tabù e così mi sono letta tutti gli annunci affissi in bacheca.  

Cucciolate di cani e gatti in regalo o a prezzi stracciati.
Ritrovamenti di bestiole abbandonate.
Animali in cerca di adozione per improvvisi problemi allergici dei padroni.
La vita e la morte di queste creature è come, e anche più della nostra, legata al caso, alla fortuna e in definitiva al destino.

Come noi non chiedono di nascere, ma, al contrario di noi, raramente possono cambiare la loro situazione.
Dipendono da noi, ci amano a prescindere.
Sono inconsapevoli, fiduciosi, ottimisti.

Voglio raccontare la storia di due cani che io e mio marito abbiamo avuto la fortuna di incontrare.

Vivevamo in un bel podere sui Colli Euganei, tentando di fare i viticoltori, quando abbiamo deciso che ci mancava un cane “da fattoria”.
Siamo andati al canile di Lozzo Atestino e lì ci si è presentata la scena straziante: decine di cani chiusi in piccoli recinti, tutti in piedi che scodinzolavano abbaiando per attirare la nostra attenzione.

Sceglierne uno e lasciare gli altri è stata dura veramente.  Che pena!

Abbiamo adottato quello che descrivevamo sempre come un finto segugio.
Nero focato con le orecchie a scaloppina. Lo abbiamo chiamato Tabù.
   
Sì, anche lui si chiamava come il cocker che abbiamo ora. (Nella famiglia di mio marito tutti i cani maschi si sono chiamati così. Siamo arrivati al sesto.)

In poco tempo aveva segnato i confini del podere e preso possesso del suo territorio.  
Correva felice tra i filari di uva, attraverso il bosco di castagni e tra i ciliegi. 
Dormiva sullo zerbino, estate e inverno. 
Era refrattario ad ogni guinzaglio e catena. Lo chiamavamo Houdini.

Cacciava lepri e upupe per istinto. 
Sentiva il rumore del nostro fuoristrada da lontanissimo e arrivava tutto trafelato scendendo dalla collina per farci le feste. 
Ci seguiva mentre potavamo le vigne, giocando con i tralci come si fa con il tiro alla fune.
Rubava i chicchi di uva da tavola e metteva sempre la sua testa sotto la nostra mano per sollecitare una carezza.

Un giorno ci ha fatto capire di seguirlo nella rimessa del trattore, dove abbiamo trovato quello che sembrava un cadavere di pastore belga.
Era una cagna magrissima, buttata su un fianco, piena di ferite sul corpo e sul muso, che però muoveva debolmente la coda. L'abbiamo chiamata Nerona.
I primi giorni le portavo un pastone di carne, pane vecchio e brodo, che mangiava avidamente sollevando appena la testa.   
Poi, appena è riuscita a camminare, Tabù l’ha accompagnata sotto il portico di casa e le ha ceduto il suo cesto di vimini.
Un po’ alla volta si è ripresa ed è diventata una bellissima cagna. Sempre un po’ zoppicante, ma sana.
Tanto da fare ben 11 cuccioli, metà pastori belga e metà finti segugi.

Quattro sono morti subito, ma gli altri abbiamo dovuto piazzarli girando come commessi viaggiatori, tra amici e conoscenti, associazioni animaliste e volontari di buon cuore.

Eravamo felici, noi e loro. 
Quando è nata nostra figlia l’hanno subito adottata.
Affiancavano prima la carrozzina, poi il passeggino e poi direttamente lei, che muoveva i primi passi. Sempre scortata e protetta da eventuali cadute dai bordi dei terrazzamenti.

Non erano cani da salotto. 

Il podere non aveva recinti (l’Ente Parco dei colli lo proibiva) e scorrazzavano per chilometri. 

Hanno iniziato a rubare qualche gallina in giro. Noi abbiamo sparso la voce che avremmo rifuso qualsiasi danno, bastava venire a chiedere. 

Non stavano legati. Si liberavano sempre.

Gli hanno uccisi a fucilate.
Questo ci è stato detto da qualcuno che sapeva.  Ma prove non ce n’erano.
Un giorno sono spariti e non abbiamo nemmeno potuto seppellirli.

Abbiamo le loro foto, in cornici d’argento, in mezzo a quelle di tutta la famiglia. 
La nostra unica consolazione è che grazie a noi hanno vissuto qualche anno liberi e felici.

Sono sicuramente nel paradiso dei cani.
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domenica 28 agosto 2011

Raduni d'epoca

Nell’ambito dell’Antica Sagra di Dossobuono cui accennavo nel precedente post, era previsto anche un raduno di auto e moto d’epoca.

Mi colpiscono di più le automobili.  Una buona metà non sono altro che quelle che giravano per strada quando ero piccola e anche ragazza.   
Le 500 delle mamme dei miei amichetti, i maggioloni cabriolet del figo della compagnia, il Duetto di quello che aveva il papà con i soldi, le Fiat 127 e 850, qualche Mercedes barra 8, la mitica Dune Buggy e la Mehari.

Per fortuna che ci sono anche le Topolino e le Balilla, altrimenti penserei di essere proprio decrepita.

In ogni caso tutte le automobili sono magnificamente conservate. La carrozzeria perfetta, le cromature lucide, gli interni di pelle, i cruscotti di radica o di alluminio a specchio.
Non erano così belle nemmeno quando sono uscite dal concessionario, decenni fa.

Parallelamente mi capita di partecipare, l’ultima volta ieri, a raduni di vecchi amici, ex compagni di scuola, ex colleghi miei e/o di mio marito.
Siamo decisamente peggio conservati.   
Nonostante alcuni lavori di restauro, soprattutto da parte delle donne, il passare degli anni è evidente e spesso impietoso.

Ma questo sarebbe il meno. Nel senso che è nell’ordine naturale delle cose e bisogna farsene una ragione.

La cosa peggiore è che noi, al contrario delle vecchie automobili, possiamo raccontare la nostra vita ed il nostro presente. 
Condividere queste notizie con gli altri partecipanti.

Di cosa parliamo? 
Si parte dall’elenco delle separazioni e dei divorzi. Purtroppo c’è già anche qualche vedovo.

Poi si prosegue con la lista degli interventi chirurgici subiti e delle varie medicine che si devono prendere quotidianamente.   
Scambio di nominativi di medici e di centri per l’implantologia dentaria e anche spiegazione di diete miracolose per rimettersi in forma velocemente.

Ci si consola a vicenda sui rapporti con i figli, dai problemi scolastici ai morosi inadeguati.  Dall’università che non finiranno mai, al lavoro che non troveranno mai. Tutti sperano comunque di diventare nonni, così, come progetto per il futuro.

Si passa per l’ovvia insoddisfazione lavorativa, la consapevolezza di non poter cambiare e l’unico miraggio possibile: la pensione.
Quando finalmente tutti faranno le cose che non riescono a fare, siano modellini di velieri o safari in Africa.

La ciliegina sulla torta è lo scambio di notizie sui propri genitori.  Alcuni già morti, altri gravemente infermi (e qui l’Alzheimer la fa da padrone), altri in buona salute ma fastidiosi come delle zecche.

A questo punto il caffè l’abbiamo bevuto (con poco zucchero…la glicemia, si sa) e ci facciamo una grappetta per tirarci su. 

Ma ci vorrebbe l’argano.
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venerdì 26 agosto 2011

Facciamo sagra!

Quello che in questi giorni mi colpisce durante la passeggiata mattutina con Tabù sono i manifesti che pubblicizzano le varie sagre dei dintorni.

Ce ne sono dappertutto.   
Alcune nobilitano il nome aggiungendo “Antica” davanti.
Altre vengono chiamate “Feste”, altre ancora prendono vecchi nomi contadini tipo “Galzega” o “Magnalonga”.

In ogni caso ogni paese e frazione organizza almeno 3 giorni di sagra, con musica, stand gastronomici e pesca di beneficienza.

Prendono spunto da qualsiasi cosa: polenta, zucca, uva, riso, “anara pitanara” (?).   
Nel piccolo paese alle porte di Verona dove abito, non contenti della tradizionale festa di San Giovanni a giugno, hanno pensato bene di organizzare la “Festa Country” ai primi di settembre.
Ci sono cow boy e un finto saloon, rodei e musiche western.  

E pensare che l’unico vanto di questa frazione è che Carlo Alberto vi ha dormito una notte, nel 1848, durante la Battaglia di Custoza.   
Forse una festa risorgimentale sarebbe stata più pertinente, ma certo non potevano metterci il toro meccanico in questo caso.

Noi non amiamo particolarmente queste manifestazioni non fosse altro per il fatto che coincidono sempre con periodi caldi.  
I cibi proposti sono sempre pesantissimi, tipo polenta e musso, risotto col tastasal, pasta e fagioli e via discorrendo.  
Occorre fare la coda, mangiati dalle zanzare per poi sedersi gomito gomito su panche appiccicose.
La musica è sempre quella che non vorresti sentire e il caffè annacquato e tiepido.

Ciò non toglie che questa sera saremo alla Antica Sagra di Dossobuono e domani, per una serie di circostanze che sarebbe troppo lungo raccontare, addirittura in trasferta ad Albignasego, vicino Padova, alla Festa di Sant’Agostino.

Domenica ci toccherà disintossicarci con riso al limone e insalata, lo so già.  
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mercoledì 24 agosto 2011

Temperatura percepita

Il caldo di questo fine agosto ha finalmente fatto tirar fuori i discorsi triti e ritriti su temperature reali e percepite, record, medie superate e altre considerazioni noiosissime come le zanzare tigre sulla nostra pelle sudata.
Negli ultimi anni è sempre così: arriva l’estate, ovviamente fa caldo, e partono subito i confronti e le statistiche, bollini rossi, allarmi sanitari, effetto serra ed altre fosche previsioni.

Ne parlavo con mio marito e tutti e due ci ricordiamo benissimo che d’estate ha sempre fatto caldo. Dov’è la novità? A volte pioveva a giugno ed il caldo restava fino a settembre. A volte partiva l’afa già in maggio e dopo ferragosto rinfrescava.  

La vera differenza è che quando eravamo piccoli noi non c’era l’aria condizionata.

Ricordo il lenzuolo di lino sul divano di velluto verde del salotto. Un piccolo ventilatore guardando la tv con le finestre aperte.  Allora  si poteva. Passavano poche auto ed eravamo tutti sintonizzati su quel canale.
Al pomeriggio si abbassavano le tapparelle e si cercava di creare corrente tra una stanza e l’altra. 

Il freezer non c’era, ma c’era un cassettino all’interno del frigo con una serpentina perennemente avvolta dal nevischio. In mezzo due stampi per i cubetti di ghiaccio che servivano a fare le granatine all’orzata.

Con gli altri  bambini partivamo in bicicletta verso il Parco delle Colombare, sulle Torricelle, e passavamo lunghi pomeriggi a giocare a guardie e ladri, fermandoci sotto i getti dell’annaffiamento automatico per rinfrescarci.  Una volta avevo un vestitino blu che ha perso il colore e sono tornata a casa con le gambe a righe…

Mio padre si portava una sedia da campeggio nel garage condominiale, che essendo seminterrato era piuttosto fresco, e leggeva i suoi amati romanzi di fantascienza Urania.

A tavola non mangiavamo insalate fredde di riso, di pasta, di farro come adesso, ma pastasciutte roventi e secondi caldi come tutto il resto dell’anno. Era normale. 
C’era però la bottiglia col tappo a scatto con l’Idrolitina oppure la caraffa con acqua e limone. 

Nessuna automobile aveva il climatizzatore e durante i nostri lunghi viaggi all’estero coprivamo i sedili di finta pelle con asciugamani di spugna e con tutti i finestrini abbassati andavamo a zonzo per l’Europa, protestando solo perché da noi la benzina costava ben 170 lire ed era la più cara di tutte.

Non lo so se c’era davvero meno caldo di adesso.  
So che era fastidioso anche allora, ma ci si faceva l’abitudine e non c’erano i continui sbalzi di temperatura a cui siamo sottoposti oggi.  Il caldo era ovunque e si aspettavano i primi temporali di agosto che avrebbero portato un po’ di refrigerio.

Mio padre diceva sempre: “Se piove esco e la prendo tutta!”  In realtà non l’ha mai fatto… credo che toccherà a me realizzare questo suo proposito.
Sempre che questi benedetti temporali si decidano ad arrivare!
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domenica 21 agosto 2011

I figli so' piezz'e core


Adesso vi racconto la storia di questo cosplay.

Innanzitutto per chi non sapesse cos’è:  si tratta di un travestimento al fine di assomigliare il più possibile ad un personaggio dei fumetti, dei cartoni, delle serie televisive o anche ad una persona reale del mondo dello spettacolo.

A sinistra, l’inquietante figuro chiamato Hitsugi (in italiano “bara”) chitarrista dei Nightmare, gruppo visual kei giapponese.  Da noi hanno raggiunto una discreta notorietà tra i fan del manga “Death Note”, in quanto autori delle sigle dell’anime che ne è stato tratto.
La foto che tiene in bocca copre un numero imprecisato di piercing che gli forano il labbro inferiore.

A destra potete ammirare mia figlia. 
Fan sfegatata dei Nightmare, con una passione malsana ed allo stesso tempo tenera per il tipo in questione.

Da mesi ci tediava con questa idea:  fare il cosplay di Hitsugi. 
Tutto perché aveva trovato un servizio fotografico che il gruppo aveva fatto con delle Polaroid da collezione.  
Dato che mio marito aveva tra le sua enorme raccolta di macchine fotografiche anche il modello della foto,  si è deciso di accontentarla.

Abbiamo cercato nei vari negozi di bigiotteria la spilla con le piume. I bracciali con le borchie. 
Trovato la parrucchiera che le colorasse delle ciocche di questo rosso improbabile.

Dal nostro guardaroba abbiamo pescato io la giacca nera e la camicia bianca, mio marito il guanto di pelle e la cravatta.

Sui piercing al sopracciglio e tra gli occhi siamo stati irremovibili. NO.

Così abbiamo trascorso un pomeriggio ad allestire lo studio fotografico in salotto: sfondo drappeggiato, faretti, trucco e capelli, provini vari.

Si è dovuto fare per prima l’autentica foto Polaroid da tenere tra le labbra e dopo la foto digitale finale.

Un lavorone.  Ore tra preparazione e prove.

Ma alla fine perfino mio marito era soddisfatto del risultato e poi si sa: i figli so piezz'e core!
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sabato 20 agosto 2011

Un colpo di spugna

Leggo su repubblica.it che è stata scoperta una molecola che dovrebbe riuscire a cancellare i brutti ricordi.   

Detto così sembra una cosa formidabile. 

Poter selezionare le cose sgradevoli che ci sono successe ed affrontare il futuro con una bella espressione beota. 
 
Scordato l’attacco di appendicite e l’otite che mi ha perforato il timpano. 
L'estrazione di tutti e quattro i denti del giudizio....


Le dita fratturate sotto il pattino di un bambino che mi ha travolto da piccola, la caduta in bici che mi ha fatto rompere il setto nasale.

Ma già che ci siamo, via il ricordo di due o tre uomini che non avrei mai voluto incontrare e delle litigate con parenti, colleghi ed altre persone negative con cui ho avuto a che fare.

Penso a due film: Se mi lasci ti cancello e Cambia la tua vita con un clic.  
Il primo calza perfettamente. Il protagonista è stato lasciato e vuole cancellare il ricordo della ex ragazza.  Sembra una stupidaggine ma in realtà la storia assume toni sempre più inquietanti e drammatici.  Il programma che cancella selettivamente la memoria in realtà non funziona perfettamente.  A furia di cancellare, come succedeva alle elementari, si fa il buco nella pagina e sono guai.

In “Cambia la tua vita con un clic” c’era un telecomando magico che faceva scorrere più velocemente, fino a non accorgersene, i momenti brutti o noiosi della propria vita. 
Anche qui quello che all’inizio pareva  perfetto, si rivelava una grande fregatura, poiché si arrivava alla vecchiaia senza quasi essersene resi conto, estranei alla propria vita e completamente inconsapevoli.

Tornando all’articolo sembra comunque che lo studio sia stato fatto per cancellare gli effetti degli shock post traumatici. Quindi cose ben più serie di quelle che ho elencato.

Ma, c’è un ma.  
Se cancelliamo un evento traumatico e pauroso del nostro passato come faremo a maturare l’esperienza necessaria per affrontare qualcosa di simile che ci dovesse capitare?   
Se togliamo il ricordo della paura questo non ci farà essere più imprudenti la prossima volta?

E comunque anche le cose peggiori fanno parte del nostro bagaglio e hanno contribuito a renderci le persone che siamo ora.   
Per me è molto meglio trovare il modo per fare pace con i brutti ricordi e trasformarli in uno stimolo ad affrontare consapevolmente il futuro.
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martedì 16 agosto 2011

Impara l'arte...?

In questi giorni sto ragionando molto sulla questione “arte” dato che mi è capitato di vedere parecchi documentari su pittori, scultori e fotografi su Rai5. 

Io su questo argomento sono completamente autodidatta. 

Ho visitato molti musei e mostre, ho sfogliato libri e letto critiche e presentazioni di opere più o meno famose.    

Ma non chiedetemi dettagli sulle varie correnti, sugli stili e sulle tecniche perché le mie lacune sono enormi.  

Il mio approccio con il prodotto artistico è questo: “Lo metterei nel mio salotto?”, “Mi piacerebbe vederlo tutti i giorni?”.  Se la risposta è “sì” significa che per me è bello, altrimenti può essere anche quotato milioni, ma non mi piace comunque.

Sono convinta che troppe volte si abbia paura di giudicare un quadro o una statua, ma anche un pezzo musicale o un film, solo perché si è in soggezione. Si pensa di non essere titolati e quindi di doversi uniformare al pensiero degli “addetti ai lavori”.

Ma perché? 
L’ha scolpito Henry Moore? Mi fa schifo lo stesso. L’ha dipinto Paul Klee? Lo faceva meglio mia figlia all’asilo.
Perché non si può dire?   
Sogni di Kurosawa mi fa addormentare e la musica di Hindemith è una tortura per le mie orecchie.

L’arte deve trasmettere qualcosa, qualcosa di positivo, intendo.  Gioia preferibilmente, ma anche commozione e meraviglia, magari invidia ma non fastidio e noia.

Provo ad elencare le opere artistiche che nella vita mi hanno emozionato di più:
la cattedrale incompiuta gotico-manuelino di Batalha, in Portogallo. 
Il giardino delle delizie di Bosch al Prado di Madrid. 
Il bacio di Rodin  a Parigi. La mostra di Dalì alla Tate Gallery di Londra, quella di Escher a Palazzo Forti qui a Verona, di Klimt e la secessione viennese  al Mart di Rovereto, di Caravaggio a Roma.  
Il Golden Gate a San Francisco, il Guggenheim di New York più fuori che dentro… 

Non c’è un filo conduttore, ne’ una classifica. C’è solo il ricordo di una bella sensazione.
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sabato 13 agosto 2011

C'era una volta il PC

Niente fa più in tempo ad invecchiare, tutto diventa obsoleto.

Questa è la mia riflessione al ritorno dalla discarica questa mattina.   

Stiamo ripulendo la cantina e dopo mesi ed anni che si rimanda la vecchia Multipla è stata riempita di tastiere, schede madri, dischi fissi, unità esterne, cavi e tanti, tanti CD di programmi.

C’era qualcosa di rotto? Pochissimo. 
La maggioranza delle cose erano solo sorpassate. Perfettamente funzionanti ma inutili. 
Rifiuto speciale da smaltire in appositi container.

Ieri il Personal Computer IBM ha compiuto 30 anni. Leggevo un articolo che ne riassumeva la storia come stessimo rievocando la creazione della pila di Volta o dei caratteri mobili di Gutenberg.
Già lo davano per morto o almeno moribondo.  Adesso ci sono i tablet  che stanno prendendo il sopravvento.

A casa mia gira un Galaxy Tab, che è indubbiamente un giocattolino favoloso, ma tanti auguri se vuoi scrivere un testo o lavorare su un foglio elettronico senza almeno una tastiera esterna!
Bello è bello.  Con le dita muovi, chiudi, ingrandisci; giri lo schermo ed il contenuto gira a sua volta, ti senti quasi magico.

Ma io, l’ho già scritto, sono sempre restia ai cambiamenti tecnologici troppo repentini.   
Io sono una delle poche che ha imparato a scrivere a macchina su una specie di catafalco che effettivamente può aver ispirato l’architetto dell’Altare della Patria.  
I tasti erano così duri che avevo il mignolo con il muscoletto: una dattilografa culturista.

Già passare alla macchina per scrivere elettrica è stata una favola.  Non c’erano più i tasti che, data la mia velocità, si incastravano sul nastro. C’era una sferetta ed i nastri erano a cartuccia e non più su due rocchetti da sistemare sporcandosi tutti.

Poi  c’è stata una macchina che aveva anche il nastro per cancellare ed infine una che aveva perfino un po’ di memoria e potevo farle scrivere aperture e chiusure standard di lettere. 
Alla fine è arrivato un PC IBM compatibile.  Lo schermo era nero ed i testi o verdi o bianchi. La stampante ad aghi con i fogli da sistemare bene sulle rotaie, i floppy disc, il mouse col filo…

Ad un certo punto  gli eventi si sono susseguiti sempre più velocemente: schermi a colori, Windows, dischetti, memorie sempre più ampie, reti, via i fili, via le tastiere.  Comandi vocali, touch screen.
Tra poco basterà pensare un comando e il computer eseguirà…forse.

Ma io sono un po’ preoccupata: ci stiamo atrofizzando. Le braccia e le gambe diventeranno inutili appendici.  Ci sarà solo un corpo grasso e un'enorme testa occhialuta di sopra.

Ah, le belle dattilografe culturiste di una volta!
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mercoledì 10 agosto 2011

...tanto di stelle per l'aria tranquilla arde e cade...

Certe volte sarebbe bello che leggende e credenze varie fossero vere.

Prendi il bouquet della sposa e ti accasi entro l'anno, ti prude il naso qualcuno ti pensa, trovi un quadrifoglio grande fortuna...e per ogni stella cadente esprimi un desiderio e si avvera.

E' arrivata la magica notte di San Lorenzo e allora che fare? Provarci ancora una volta?

Fare finta di crederci e cercare il posto migliore, più in alto e più al riparo dalle luci della città, sfidando l'umidità e le zanzare.  Sdraiarsi sul vecchio plaid scrutando il cielo, sperando che ne valga la pena?

Sono così tanti anni che non lo faccio.
Da ragazza era un classico.  In compagnia o in coppia era un appuntamento irrinunciabile.  Bisognava trovare il luogo perfetto, come se cambiasse qualcosa!  Sono meglio le Torricelle o le colline della Valpantena? E' meglio salire fino a Boscochiesanuova o basta andare in Valpolicella?

Mi ricordo di una volta che con tutta la compagnia siamo andati a Torbe di Negrar dove un amico viveva con i genitori in un  rustico ristrutturato.  Avevano perfino il forno a legna e così dopo una bellissima serata trascorsa mangiando pizze inventate da noi, abbiamo camminato per i prati e ci siamo sdraiati vicino ad una vigna. Non ricordo di cosa parlavano gli altri, ma so che in quel momento io desideravo solo due cose: visitare l'America e comprarmi la mitica 2CV.

Fatalità sono riuscita a vedere ben tre stelle e così per il terzo desiderio ho avuto un colpo di genio: chiedere di essere felice.
Cosa serve stare lì a meditare su questo e su quello...se sono felice vuol dire che ho tutto quello che desidero.  Matematico.

Così ogni volta che soffio sulle candeline, che vedo un arcobaleno, che trovo un quadrifoglio o che vedo una stella cadente vado sul sicuro.

So che la felicità è abbastanza intermittente come status e quindi cercherò di ribadire questo desiderio anche stanotte. Male non può fare.
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lunedì 8 agosto 2011

Maniaco shakespeariano

Leggo questa simpatica notiziola: "Segnalato alla polizia un giovane che filmava con il cellulare sotto le gonne delle turiste nel cortile di Giulietta".

Il bel tipo, indigeno locale, approfittava del fatto che le ragazze sono tutte intente a scarabocchiare sul muro le loro frasi d'amore, a volte arrampicate una sull'altra, per collezionare riprese di biancheria intima.

Intanto complimenti per la pazienza. Trovare una ragazza con la gonna è abbastanza raro. Sono tutte in pantaloncini o jeans.
Ma basta fermarsi davanti un'edicola per vedere molto di più, navigare in internet oppure andare in piscina o sul Lago di Garda per avere dal vivo tutta l'esposizione di carne che si vuole.

Ma in questo caso non c'è il fascino del proibito. Ecco la spiegazione che mi sono data.

Poveretto, mi fa quasi tenerezza. Certo, se lo avesse fatto a me si sarebbe preso una bella sberla.
Ma non c'è pericolo, sembra che in memoria abbiano trovato solo filmati di giovanissime...
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sabato 6 agosto 2011

Bullshit!

Eccola qui la notizia più cretina di oggi: "Per gli inglesi il giorno più felice dell'anno è il primo sabato di agosto".

Prima reazione: un bel "chissenefrega".

Seconda reazione: perchè il nostro telegiornale deve dare questa notizia?

Terza reazione: chi ha pagato gli psicologi dell'università di Manchester per fare questo studio?

Io non sono inglese e sicuramente ho poco in comune con loro, ma qualcosa mi dice che in questo caso, dove parliamo del primo giorno delle vacanze estive, un certo buonumore è condivisibile e soprattutto prevedibile.

Questo continuo enfatizzare notizie inutili da parte dei nostri mass media comincia ad irritarmi.

Oggi comunque le redazioni si sono superate: da un canale all'altro, da un giornale online all'altro, rimbalzava la notizia del 23esimo compleanno di Federica Pellegrini e della mega blindatissima festa organizzata in un locale di Via Veneto.

Poi si è scoperto un probabile ritorno di fiamma tra Jennifer Lopez e Puff Daddy.

Solo in chiusura un breve accenno al 66esimo anniversario della tragedia di Hiroshima.
Due parole e via.

In fondo oggi è o non è la giornata più felice dell'anno?
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venerdì 5 agosto 2011

Prodigi della scienza e della tecnica

Da buona ultima sono approdata su Skype. In queste cose sono sempre a rimorchio di mio marito, devo ammetterlo.

Lui lancia l'idea ed io mi accodo. Dopo magari lo supero nell'utilizzo del prodotto specifico, ma all'inizio io sono sempre diffidente di fronte alle novità tecnologiche.

Il fatto è che non ne capisco il funzionamento e allora usarle alla cieca mi provoca sempre un po' di rabbia e frustrazione.  Io vorrei capire come è possibile costruire e far funzionare qualcosa.
Per imparare ad usarla in fondo basta poco: schiacci dei bottoni, scrivi delle cose, fine.

Se mi applico capisco un funzionamento meccanico.
Ma in quanto al perchè dello stagno e del rame su una tavoletta verde diventino il cuore di un calcolatore è nebbia fitta.
Non mi vergogno ad ammettere che per me è ancora un mistero la televisione.  Sono al livello di quei bambini che pensano che le figure arrivino attraverso il filo.  Molte volte mi è stato spiegato, ma è una logica aliena per me.

Io so usare il computer, ho iniziato con il corso Dos negli anni ottanta e poi via via ho utilizzato molto bene diversi programmi, dai primi fogli elettronici e videoscritture, powerpoint, paint shop pro e così via.  Ma il computer perchè funziona?

Se guido la macchina so, in linea di massima, perchè e come si muove. Il carburante, la scintilla, la camera di scoppio, i pistoni, l'albero di trasmissione, di qualcosina mi rendo conto più o meno.

Ma sono in buona compagnia, credo. Noi utilizziamo senza pensarci tantissimi prodotti che solo qualche decennio fa sarebbero stati fantascientifici. Quasi mai ci soffermiamo a considerare come sono costruiti e per quale motivo riescono a darci quello specifico servizio.

Mi viene in mente il film "Non ci resta che piangere".
Troisi e Benigni incontravano Leonardo da Vinci e tentavano di spiegargli alcune invenzioni, con esiti ridicolissimi.
Io sarei allo stesso livello.  Se dovessi descrivere come costruire uno qualsiasi degli oggetti elettronici di uso comune, per esempio una calcolatrice tascabile, non saprei da che parte iniziare.  Sembrerei ebete. Sono ebete, in realtà...

Fattostà che da oggi parlo con tutti in videochiamata. Mi sono dovuta truccare perchè adesso bisogna anche stare attenti a non farsi trovare in déshabillé e slavati...

Ma tu pensa... il mio computer è un wireless....da che filo passerà la mia faccia?!
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mercoledì 3 agosto 2011

Via da Las Vegas

Associazioni di idee. Alcuni giorni fa ho visto il film "Notte da leoni".

Per chi non lo conoscesse, racconta di un addio al celibato che un gruppo di quattro amici festeggiano a Las Vegas.

Ne succedono di tutti i colori, in un ritmo incalzante, con battute e situazioni esilaranti. Molto divertente.

Così ho ripensato a quando sono stata anch'io a Las Vegas, giusto un paio di giorni.
Anche troppi per una città così brutta...
Ma è comunque valsa la pena di visitarla. E' un posto veramente allucinante.

Si viaggia per ore nel deserto, fermandosi in squallide stazioni di servizio dove cartelli con la scritta "Attenzione ai serpenti a sonagli" ti avvertono di non sgranchirti le gambe troppo lontano dalle pompe, superi rari camion con le marmitte cromate ai lati della cabina, bellissimi e lucidissimi, mentre saguari e joshua tree punteggiano l'orizzonte.

Poi, in mezzo al nulla, spuntano enormi costruzioni, gli hotel, che sfidano le più elementari regole del buon gusto e ci si domanda dove sarà la vera città, quella con il municipio e la chiesa, le scuole e i negozi.

Ma alla sera tutto cambia.
Pensi di essere stato catapultato nel più enorme dei luna park ed è tutto un tripudio di luci.
Lo spettacolo è veramente fantastico.  Ci si ubriaca anche se non si beve.
Si viene ingoiati dai vari casinò, si passa in mezzo a centinaia di slot machine, ognuna con davanti un vecchietto con il suo bravo bicchiere di carta pieno di monetine, sconosciuti provano ad attirarti ai vari tavoli, ti chiedono se ti interessano partite in salette più riservate.
C'è qualcosa di sordido e sinistro che aleggia nell'aria, ma basta essere determinati a fare solo gli osservatori che tutto fila liscio.

Mangiare costa pochissimo. Con 5 dollari puoi accedere a buffet con ogni ben di Dio, aragoste comprese.
Tutto gira intorno al gioco e anche ai matrimoni lampo.
Un incubo psichedelico.

Io e i miei alloggiavamo al Dunes, un hotel che è stato fatto implodere nel '93.
Al suo posto oggi sorge il Bellagio.

Leggendo su wikipedia la storia di questo vecchio albergo, ho capito il vero significato di una cosa accaduta all'arrivo.

Eravamo appena entrati in camera, stanchi dalla giornata di viaggio, e si siamo accorti che mancava il terzo letto.
Allora sono scesa nella hall per parlare con un addetto.

La hall non era come quella di un albergo normale.
Forse era lunga 50 metri, con decine di impiegati. Ne ho scelto uno a caso ed ho esposto il mio problema.
Piuttosto scostante il tipo mi ha chiesto a che nome era stata fatta la prenotazione.

Quando l'ha sentito è avvenuto il  miracolo.
Mi ha praticamente abbracciato e mi ha fatto vedere il suo biglietto da visita: eravamo omonimi!

Inutile dire che in un attimo il terzo letto era pronto e ci è stata recapitata in camera anche la cena con le scuse per il contrattempo.
Mi ha raccontato che la sua famiglia era originaria della Sicilia, ma io non ho notizie di antenati "siculi".
L'ho ringraziato molto e gli ho promesso che avrei salutato l'Italia da parte sua.

Adesso ho scoperto che questo albergo era stato costruito con i soldi della mafia e gestito da varie famiglie di Cosa Nostra....

Questi non fanno mai niente per niente...

Però, dopo tanti anni, forse il favore è caduto in prescrizione.
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lunedì 1 agosto 2011

Vado al massimo

Ieri ho letto la drammatica notizia: "il cervello umano al limite: mai più intelligenti di così".
C'è poco da stare allegri.

Quindi è tutto qui, dobbiamo farci bastare quello che abbiamo e, anzi, stare attenti che se lo usiamo troppo potrebbe esserci un'involuzione e torneremmo all'età della pietra.

Ma come sempre gli studiosi fanno di ogni erba un fascio. Parlano di energia insufficiente per muovere tutti i fasci nervosi, raccontano di prestazioni eccezionali raggiunte nell'elaborazione di dati, impossibile evolversi oltre.

Ma si sono guardati in giro?!?
Io forse sarò sfortunata, ma ogni giorno incontro persone, o anche sento notizie di persone, per le quali l'evoluzione è solo un miraggio lontano.  Gente che ha qualche neurone che gira in solitudine, cercando compagnia invano.
Dove sono tutti questi geni?
Cioè, basta andare per strada....

Per qualche fortunato che ha raggiunto il massimo dell'efficienza neurale, c'è una massa che deve ancora imparare come si fa ad arrivare solo al minimo standard.
Organizzassero dei corsi, magari già alle elementari e pure qualche lezione di recupero durante scuola guida, per esempio.

"Il nostro cervello: istruzioni per l'uso", tipo manuale del decoder.  Magari anche in versione video, per quelli che odiano leggere.

Ma in fondo questa notizia è simile ad un'altra che ho letto in questi giorni, che parla dell'impossibilità a breve di superare ulteriormente i record sportivi raggiunti.  L'uomo non potrà correre i cento metri  sempre più veloce. Ad un certo punto il record potrà essere solo eguagliato.
Hai detto poco.

Se tutti noi riuscissimo anche solo ad avvicinarsi alla capacità di ragionare dei vari luminari in ambito scientifico o filosofico, sarebbe già un ottimo risultato.

Penso che ci sia ancora molto margine di miglioramento...
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