lunedì 25 maggio 2015

Il video della settimana - 22/2015 - #Placebo live@Verona


Dopo qualche giorno riesco finalmente a raccontarvi del concerto dei Placebo al quale ho assistito mercoledì scorso.

Spero di riuscire a trasmettere la gioia e il benessere che mi hanno regalato in due ore che difficilmente dimenticherò.

Già tempo fa vi avevo parlato di questo gruppo inglese e del mio amore relativamente recente per le loro canzoni.
Tutto questo grazie a mia figlia che mi costringe ad ampliare sempre lo sguardo e a non fossilizzarmi sui miei ricordi e sugli artisti “sicuri” della mia giovinezza.

Ho imparato ad amare la voce nasale di Brian Molko, i suoi testi, le sue atmosfere.
Resta sempre un tipo un po’ ostico ma l’altra sera sembrava perfino di buon umore.

Alla fine del secondo pezzo ci ha salutati, due paroline in italiano ed eravamo tutti come creta nelle sue mani.
Ha detto che nel rock non ci sono regole tranne una: non si può ascoltarlo seduti e ci siamo alzati come soldatini, senza sederci più per il resto della serata.

Ed è stato un crescendo di pezzi vecchi e nuovi, uno migliore dell’altro, dove lui e il bassista Stefan Olsdal hanno suonato benissimo, dando vita a duetti e assoli pazzeschi.

Abbiamo cantato e ballato e ad ogni pezzo che riconoscevo mi giravo verso mia figlia scuotendola come a dire: “ma li senti? È quella che ascoltiamo sempre in auto e la stanno suonando qui, per noi, adesso”.
Non mi pareva vero di essere a pochi metri da loro, di poter vedere come un piccolo gruppo di persone possa stregare e coinvolgerne altre 15.000.

Tutto è andato per il meglio, dal tempo che dopo la pioggia mattutina ci ha regalato una serata stellata, dall’organizzazione dell’Arena che ha permesso accesso e uscite senza alcun intoppo a tutto il settore luci e suoni che hanno reso il concerto perfetto.

Ho ancora il magone pensando al Live disastroso dei Linkin Park l’anno scorso al galoppatoio di San Siro a Milano. Non si vedeva nulla. Non si sentiva nulla. Code per entrare, ore sotto il sole, code per uscire. Grande frustrazione.

Spero che la prossima volta scelgano anche loro l’Arena di Verona. Uno “special place” come ha detto ammirato Brian Molko.

Vi lascio anche il mio filmato di Special K, poca cosa, ma c'è una carrellata sul pubblico che forse rende l'idea della bellissima atmosfera della serata.

venerdì 22 maggio 2015

Dentro la terrina di melamina


Cosa c’è dentro?

Stavo preparando la cena e mi sono trovata a corto di contenitori per le varie pietanze.

Così ho ripescato in fondo ad un pensile la terrina del servizio di piatti che usavamo in roulotte con i miei genitori.




Sai quelle cose che tieni perché non si sa mai?
Magari potranno servire in una seconda casa o in un’altra vita.
Chissà.

E infatti eccola lì la terrinetta bianca in melamina, tutta rigata e ingrigita.

Pronta ad essere riempita di fragole al limone.

E mi è partito il trip.

L’ho guardata e in un attimo ho rivisto tutti i cibi che aveva contenuto e da lì mi sono allargata a ripensare a quello che si mangiava in vacanza in giro per il mondo.

A quando si andava a fare la spesa nei mercati più esotici o in certe botteghe di dubbia pulizia.

Quando ogni cosa si faceva prima ad indicarla col dito e se non la vedevi erano guai seri.

Ricordo mio padre che, avendo finito il miele per la colazione, tentava di spiegare a un negoziante turco quello che voleva e mimava un insetto ronzante e poi lo faceva atterrare sul braccio di mia madre che diceva: “ahi”! “ e per tutta risposta ci avevano procurato una bomboletta di insetticida…

Insomma mi sono passati davanti tutti i piatti che facevano “vacanza”: tante insalate di pomodori e cetrioli, tante olive nere e feta, tanta peperonata e poi i nomi rimasti sepolti nella mia mente e riesumati per l’occasione .

Portocali sono le arance in greco, balik è il pesce in turco, l’aceite che è l’olio in spagnolo…

E le minestrine Knorr, il latte condensato, i fagiolini in scatola.

La terrina me la ricordo anche piena di frutta immersa nell’acqua e amuchina.
Un odore fastidioso che ho ancora nelle narici.

Mi è tornata in mente la frustrazione di fronte ai cibi che non ho potuto mangiare per paura di chissà che tremende malattie: le ciambelle glassate infilate su lunghi bastoni, delle bibite rosate vendute a bicchieri dagli ambulanti marocchini, le pile di frutta secca su certi banchi ai mercati (l’hanno toccata ad una ad una per sistemarla così bene, e non si può lavare!), qualsiasi gelato sfuso…

Mi sono vista aiutare mia madre a lavare i piatti nei lavabi di campeggi a strapiombo sul mare, con una vista degna del miglior albergo a cinque stelle.
Il vento che muove le tamerici, il suono delle cicale.

Ho rivisto tutta la perfetta procedura per impilare le stoviglie, pentole e bicchieri in modo che non si muovessero durante gli spostamenti e che entrassero negli appositi scomparti dell’angolo cottura.

Era tutto lì, dentro la terrina.
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lunedì 11 maggio 2015

Il video della settimana - 20/2015 - KC and the Sunshine Band


Giuro che fino ad oggi non sapevo che faccia avessero ma bastava sentire il nome per sapere che musica stava per iniziare: pura disco "riempipista".


Quando la festa languiva, quando nessuno aveva il coraggio di buttarsi in mezzo a ballare, quando qualcosa ti tratteneva al bar o nella zona divanetti ecco che la prima nota di "I'm your boogie man" o "That's the way I like it" operava il miracolo: non si poteva fare a meno di iniziare a dimenarsi come dei tarantolati.

KC and the Sunshine Band sono stati "la" discomusic tra il 1975 e il 1985.
Hanno venduto 75 milioni di dischi e poi la moda è passata e non sono riusciti a riciclarsi se non in qualche tour revival.

Shake your Booty era un'altro dei loro pezzi classici da discoteca.

Poi arrivava il momento del fatidico "quarto d'ora dei lenti", utile per darsi una rinfrescata, per riuscire finalmente a parlare con qualcuno al quale avevamo annuito tutta la sera senza capire nulla o per ballare davvero un lento.

E il lento da paura qual era? Please don't go. L'unica ballata che hanno scritto ... però che pezzo!

Il quarto d'ora dei lenti era alle 23,00 e poi ce n'era un altro verso mezzanotte e mezza circa.
Il problema era che magari si era state addocchiate da qualcuno che non piaceva per niente e allora il momento dei lenti era uno spauracchio da evitare in tutti i modi.

Come? Io e la mia amica Elena avevamo la nostra ancora di salvezza: un nostro ex compagno di classe abituale frequentatore del Berfi's al quale ci rivolgevamo per salvarci al momento giusto. 
Lui e qualche suo amico ci facevano ballare in modo da far credere che fossimo impegnate e così evitavamo i seccatori.
Perchè lo faceva? Intanto era buono come il pane e poi era in debito con noi: gli avevamo passato tanti di quei compiti che non c'erano abbastanza lenti per fare pari!

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La foto della domenica - Maggio/2*2015

Quale regalo migliore per mia figlia, che da grande (ops, ma è già grande..) vuole fare l'ornitologa che portarla in un'oasi naturalistica dove sono presenti tantissime specie di uccelli?


L'Oasi di Sant'Alessio, vicino Pavia, ci ha accolto sotto una nevicata di piumini di pioppo, gioia per tutti gli allergici presenti...

Scende bianca giù dal ciel....

A parte questo problema, che oltre ad essere "sanitario" rendeva tutto il paesaggio bianco e i vari laghetti simili a pozzanghere schiumose, abbiamo potuto ammirare un gran numero di volatili e non solo, anche rettili e coloratissime farfalle.


L'ingresso all'oasi avviene attraverso un bel castello medioevale, con un torrione centrale ed il suo bravo fossato intorno.

Molto suggestivo.

E' emozionante vedere i colibrì!

Però l'impressione è che il tutto avrebbe bisogno di parecchi lavori di manutenzione: il castello, le voliere, le staccionate.



La vegetazione sta prendendo il sopravvento e i vari stagni sono veramente torbidi.
Molte postazioni hanno vetri così sporchi che è impossibile capire cosa si dovrebbe vedere attraverso...

Mancheranno i fondi immagino. L'eterno problema italiano.

Mio "genero" con il suo super obiettivo...

Io e il mio nuovo amico volatile...

La foto della domenica è un'iniziativa di Bim Bum Beta

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mercoledì 6 maggio 2015

Quei bei blog casalinghi di una volta...


Hai presente quelle trattorie, quei localini senza pretese dove uno è abituato ad andare a mangiare quando ha voglia di cibi conosciuti, confortanti?

Quei posti dove ti senti a tuo agio, dove non occorre leggere il menù perché sai già quello che preparano e hai proprio voglia di trovarti lì, al solito tavolo, quello nell’angolo, con il cameriere che ti riconosce e la padrona che ti chiede come stanno “i ragazzi”?




Poi un giorno arrivi e trovi tutto ristrutturato.
Sembra un locale minimal di New York.

Ogni cosa è bianca o nera, i camerieri sembrano usciti dal backstage di Kenzo, i piatti sono enormi e quadrati, il cibo in crosta di … o su un letto di … e ha nomi strani.

Prendono gli ordini con il palmare e ti dicono che il carrello dei bolliti non ce l’hanno perché hanno abbracciato il concept della cucina molecolare.

Insomma tutto questa sbrodolata per dirti che anche la maggioranza dei blog che leggevo con gusto una volta si sono trasformati in qualcosa di molto alla moda, perfettino, dove tutto è studiato a tavolino seguendo i canoni di non so quale guru dei blog, del SEO o di chi per esso dove entrarci e uscirne subito è un tutt’uno.

La noia ed il fastidio sono immediati, la freddezza che trasmettono uguaglia quella creata dall’azoto liquido degli chef moderni.

Non c’è anima, non c’è simpatia, non c’è spontaneità.

Ecco io sono un’irriducibile.
Non scriverò mai un titolo pensando ai motori di ricerca, non parlerò mai di argomenti che “tirano” e mai e poi mai metterò un banner pubblicitario a rompere i coglioni dei miei pochi lettori.

Scriverò se ne ho voglia, una volta al giorno o una al mese, senza dover per forza seguire una tabella di marcia, non citerò niente e nessuno per un tornaconto e credo lascerò sempre lo sfondo con le mie foto di cinquantenne giovanile a perenne memoria della me stessa che un giorno ha deciso di aprire un blog per raccontare quello che le passava per la testa al marito forzatamente lontano.

Sì, il mio è destinato a restare uno degli ultimi blog di una volta, rustico, un posto da cercare col passaparola, come quelle trattorie sperdute che non hanno nemmeno il telefono per prenotare.
Quelle dove trovi ancora la trippa in brodo e le uova sode al banco.

Motivo scatenante:
(Cioè, hanno trasformato il Mondo d'oro - osteria tipica veronese da "ombre" - in un posto asettico dove servono il brunch domenicale... ma ti pare?!?!?)
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