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sabato 23 novembre 2013

Ridatemi il vecchio Iperfamila!




Leggevo ieri su Donna Moderna un articoletto intitolato "Il bello delle abitudini”.

Sembra che da una ricerca di tale Duke University ripetere nel corso della giornata determinate azioni, percorrere le solite strade, insomma avere una determinata routine porti innumerevoli vantaggi: la mente si affatica di meno, la vita si semplifica e calano le ansie.

A me piacerebbe poter affermare il contrario e darvi da intendere che la vita è bella quando non sai mai cosa ti aspetta, quando cambi luoghi e orari, quando l’imprevisto e la sorpresa sono dietro l’angolo.

Son belle frasi, fanno gggiovane on the road.
Quindi non fanno più per me.

A giugno è iniziato il calvario.

Io vado quasi sempre a fare la spesa all’Iperfamila.
 
Ho la mia brava tessera. 
Raccolgo i punti, usufruisco di sconti notevoli, trovo tutto: dall’ago all’elefante.

Come dice la parola è Iper: lungo e largo centinaia di metri, io lo conoscevo come le mie tasche e spingevo il carrello spedita, seguendo la mia logica di acquisto, sistemando le cose in modo che alla cassa tutto fosse già diviso tra fresco, dispensa, ripostiglio, varie ed eventuali.

Potevo trovare ad occhi chiusi ogni cosa e avevo ottimizzato tutti i tempi.

Qualche genio della logistica ha pensato bene di stravolgere tutto.

Hanno iniziato smontando e sostituendo tutte le casse.
Si arrivava e il sottofondo era quello dei martelli pneumatici e dei trapani.
Contemporaneamente dipingevano e creavano nuovi controsoffitti.

E avevano iniziato a spostare la roba.   
Interi corridoi chiusi col cellophane, altri svuotati di brutto.

E da lì in poi ogni cosa è stata cambiata, tutti i reparti scapovolti, il mitico banco gastronomia e quello del pesce, la panetteria e gli ortaggi.

I mesi passavano e le file di scaffali venivano ruotate o scambiate senza più alcuna regola, tipo che a sinistra c’erano i saponi intimi e a destra i sottaceti.

Io che mi ero abituata a fare la lista pensando già all’ordine in cui avrei trovato la merce, ho iniziato a vagolare a zig zag per delle mezz’ore intere, cercando i cereali, lo zucchero o il latte e trovandoli nei posti più impensati, vicino le scope, tra gli accessori per le auto o il giardinaggio.

Cosa più irritante: il cartello “Ci scusiamo per il disagio, stiamo lavorando per voi!”

Adesso forse si inizia a vedere la luce in fondo al tunnel: hanno sistemato tutto il settore natalizio all’ingresso e riunificato le varie zone.

In alto finalmente grandi cartelli indicano cosa c’è negli scaffali e forse finiremo di scontrarci tra clienti, mentre cerchiamo all’orizzonte un segnale che ci indichi dove cazzo sono finite le lampadine.

Non ci incontreremo più nei corridoi brontolando solidali, scambiandoci le scarne informazioni per venire finalmente a capo della lista.

Ma è comunque dura: c’è da imparare la posizione di ogni cosa, ci sono da riattivare tutti gli automatismi di prima, è tutto nuovo.

Fortuna che ho sempre il Lexotan in borsa….
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domenica 20 ottobre 2013

Wonder woman



Ecco quello che non sono.
Ma nemmeno lontanamente.  
  
Ho passato una brutta settimana durante la quale il morale è andato sempre più sotto i tacchi.

A Rimini si è tenuto TTG Incontri/TTI,  una tre giorni di appuntamenti ad alto livello a tema turismo, dove sono stati invitati anche 150 travel blogger italiani e stranieri, con seminari, conferenze, dimostrazioni, serate a tema, ricchi premi e cotillon.

Le mie bacheche di Facebook, Twitter ed Instagram sono state invase da post e foto, dove le mie amiche entusiaste raccontavano di quanto era tutto meraviglioso, professionale, stimolante e utile per il loro essere travel blogger.

In concomitanza è partita la fiera di Abilmente a Vicenza, con ulteriori workshop, concorsi e stand dove hanno brillato altre amiche crafter, lanciatissime e osannate a destra e sinistra.

Come dicevo nel mio post “La blogger mediocre” io non faccio niente per raggiungere anche una parvenza di professionalità.   
Tengo il blog come un diario semi intimo, dove mi rifugio a scrivere durante le lunghe ore di solitudine che caratterizzano la mia vita.
Se parlo di viaggi, lo faccio da un punto di vista personalissimo, non do nomi, orari, tariffe, consigli vari.
Se parlo di cucina o di fai da te, idem. Non ci sono dosi, misure, tutorial.

Un blog “alla cazzo”.   
Chiaro che nessuno mi inviti. Lo capisco. E capisco che è solo colpa mia.

Ma tutto questo ha innescato un ragionamento più vasto, che ha coinvolto tutte le scelte o peggio le “non scelte” fatte nella vita.
Io rinuncio in partenza. La sola idea di competere, di mettermi in gioco, di prendere un’iniziativa mi spaventa e mi fa star male.

Io sono sempre stata un’esecutrice, una gregaria. 
Ditemi cosa devo fare e lo faccio. Più o meno bene, perché anche lì non è che io brilli per perizia.

Leggevo un post su La 27esima ora che parlava proprio del mito della super donna. 
La manager arrivata, con una famiglia modello, cuoca sopraffina, elegante e in forma. 
Un mito che si sta disgregando, dato che nessuno è perfetto. 
Gli uomini lo hanno capito da un pezzo, mentre le donne ci stanno arrivando poco a poco. 
Scegliendo o accettando di volta in volta cosa lasciare indietro prima di impazzire.

Mi sono consolata. 
Ma solo un po’, dato che l’impressione è di aver lasciato indietro tutto e non solo qualcosa.

Ci vorrebbe un grande meeting per le blogger alla deriva, quelle che si sfogano se si rompe la tapparella o se la pelle non è più tonica.   
Quelle sole con i loro demoni, quelle che ignorano il Seo ma seguono fedeli serial televisivi e ascoltano RDS spolverando a tempo.  

Ci vorrebbe, certo non posso organizzarlo io. 
Mi verrebbe un altro attacco di panico…
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venerdì 6 settembre 2013

Scelte obbligate



Parlavo con mia figlia, in questi ultimi pomeriggi senza compiti mentre io stiro e lei disegna, del fastidio che ci da’ pensare che dalla settimana prossima la sveglia suonerà alle 6,20.

Che poi è tutta l’estate che ci svegliamo molto prima.   

La luce filtra dalla porta vetrata dell’ingresso, il cane inizia a girare per casa con le sue unghiette rumorose sul pavimento, poi ci viene a chiamare per uscire in giardino e se guardi l’ora non sono nemmeno le sei.

Ma non è la stessa cosa. C’è l’illusione di poter restare a letto fino a quando si vuole.  

E’ la differenza che passa tra una scelta e un’imposizione, tra la libertà e la costrizione, ci siamo dette.

E allora mi sono venute in mente altre situazioni simili e ho pensato che si inizia fin da piccoli.

La nostra cameretta è piena di giochi dimenticati e appena un altro bambino prova interesse per uno di questi anche noi lo vogliamo fortissimamente e cominciamo a piangere e a volerci giocare.

Mia madre ha sempre odiato i dolci ma da quando è diabetica continua a lamentarsi passando dal reparto pasticceria del supermercato.

In “Harry ti presento Sally” (Bibbia per ogni situazione della vita) lei dice che col suo vecchio ragazzo non volevano figli per poter essere liberi di fare l’amore sul pavimento della cucina quando volevano.
Allora Harry le chiede se l’hanno mai fatto e lei risponde “Ma quando mai!”

E’ l’idea di poter scegliere liberamente di fare quello che amiamo che ci piace, anche se poi siamo così cretini che non lo facciamo per davvero, salvo star male se le circostanze ci impediscono realmente di farlo.

Insomma limiti reali si sommano ai limiti che ci creiamo più o meno inconsciamente o a desideri fittizi che servono solo a farci recriminare quando in realtà eravamo già a posto così.

Perché siamo così complicati? 
Ma soprattutto: perché devo mettere la sveglia?
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martedì 13 marzo 2012

Se Albione è depressa


Ecco l’ennesimo studio pseudoscientifico inglese di cui sentivamo la mancanza: “Se indossiamo i jeans significa che siamo depressi” (Corriere.it).

A me vengono in mente cento altre cose che denotano la depressione e non certo indossare un bel paio di jeans, avvolgenti al punto giusto, magari con una camicia bianca o una maglietta colorata.

I soldi sprecati dai britannici in queste ricerche sono per me fonte di turbamento.

Ma da loro non c’è la crisi? Non hanno problemi più gravi da risolvere?

I fondi per la ricerca non dovrebbero essere impiegati per studi su malattie incurabili o per scoprire nuove fonti di energia pulita?

Sono misteri. Come tante cose che li riguardano. 
Dal viaggiare dalla parte sbagliata della strada, al misurare le cose in pollici, iarde, galloni e altre diavolerie. 
Dagli orari in cui mangiano, a quello che mangiano. 

Chissà. Forse loro indossano davvero i jeans quando sono depressi.   
Che sia la mancanza di sole? Che sia colpa di Carlo e dell’orrenda Camilla? 
O del porridge?  In effetti è un piatto tristissimo.

Quando abitavo a Londra si stupivano di quanto io e la mia amica Elena fossimo solari e calorose, anche nel modo di salutare, di come abbracciassimo e baciassimo tutti sulle guance.  
Restavano rigidi e quasi allarmati per un attimo, poi sorridevano magnanimi ricordandosi che eravamo italiane. 

Alcune ragazze guardandoci dicevano: “Ah the sunny place of Italy! Ah, Italian men!”

Mi pare proprio che indossassero i jeans…
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sabato 19 novembre 2011

Voglia di magia


Riflettevo in questi giorni su questa mia insana euforia per l’uscita del nuovo film della saga di Twilight. 

Come ho già confessato l’anno scorso io sono una grande fan sia dei libri che delle trasposizioni cinematografiche.   
Non mi importa di essere fuori quota, non mi curo della razionalità e non mi interessa la qualità letteraria o la appena decorosa recitazione degli attori.

Mi assolvo perché sono in buona compagnia. La voglia di magia è ovunque e presente da sempre. 

Non si spiegherebbe altrimenti il successo di Harry Potter o  del Signore degli Anelli, ma anche dei santoni indiani e delle fattucchiere.  

Gli umani sono sempre stati affascinati dalla possibilità che il loro destino non sia solo il frutto di una serie di azioni e di avvenimenti controllabili o almeno giustificabili razionalmente. 
 
Deve esserci qualcosa di più, che sia la risposta a una preghiera o la pozione di una maga, che sia un quadrifoglio o un gatto nero che ci attraversa la strada, noi crediamo di vivere circondati anche da altre presenze, spesso invisibili ma alle quali pensiamo come reali e alle quali spesso ci rivolgiamo, solo per semplice fede.

Ci sono segnali ovunque: inseriamo simpatici nanetti nel nostro giardino e a Natale decoriamo la casa con piccoli elfi, angioletti e slitte trainate da renne volanti. 

Se capita di imbatterci in un oroscopo alla tv o alla radio, lo ascoltiamo attentamente.  Odiamo rompere gli specchi e passare sotto le scale.  Chiamiamola superstizione o creduloneria, ma è veramente difficile ignorare queste cose.

Hanno successo molti  programmi pseudo scientifici che ci parlano di templari millenari e di Santo Graal o della maledizione di Tutankamen, ci piace pensare che i dervisci levitino e che si possa camminare indenni sui carboni ardenti.

Quasi nessuno sfugge. Mio marito, che è una delle persone più razionali che conosca, mi ha confessato che quando ha letto It di Stephen King, per un po’ ha controllato sotto il letto prima di andare a dormire…

Ci facciamo suggestionare. Ognuno dalle cose più vicine alla propria natura, ma comunque diamo in qualche modo credito ad un universo parallelo fantastico che ogni tanto possa sconfinare nella nostra vita di tutti i giorni.

Ecco io, in questo novembre un po’ deprimente e nebbioso, vorrei incontrare magari il dottor Carlisle Cullen  o almeno un piccolo gnomo del bosco, così tanto per movimentare la giornata e non dover pensare solo alla prossima stangata fiscale …
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