lunedì 21 settembre 2015

Di foto ma anche di cibo e di come siamo cambiati



Anche se è un po’ che non scrivo non pensiate che non stia rimuginando su vari argomenti!  
Prendo mentalmente appunti e mi riprometto di esternare come una volta tutte le mie considerazioni sui “guasti” che mi circondano.

Adesso, anzi, già da stanotte, mi sto arrovellando sull’analogia che ho trovato tra fotografia e cibo o meglio sulla percezione che ne abbiamo oggi rispetto ad anni fa.

Come ho raccontato più volte mio padre era un discreto fotoamatore. 
A casa nostra c’è sempre stata la camera oscura ed i litigi sui soldi spesi in macchine fotografiche e sulle ore passate lì dentro erano frequenti tra i miei genitori.
Ma la mia realtà era un’eccezione. 

Diciamo che negli anni ’60 avevamo queste categorie: grandi fotografi conosciuti da tutti (Cartier-Bresson, Avedon, Adams ecc.), i fotografi professionisti nei diversi settori, dalla moda allo sport, passando per i documentaristi e altro, conosciuti dagli addetti ai lavori, i fotografi da cerimonie e ritratti, conosciuti nella loro città ai quali ci si rivolgeva dando cieca fiducia e pagandoli profumatamente, i fotoamatori che frequentavano i circoli e tornavano a casa puzzando di fumo come mio padre e poi il resto del mondo, cioè quelli che compravano due rullini quando andavano in ferie e un altro che gli durava tutto il resto dell’anno.
Facevano le foto ricordo. 
Quelle che era bello sfogliare in famiglia, magari tediando i malcapitati ospiti.

Anche il cibo era concepito in modo diverso.
C’erano i grandi ristoranti, io mi ricordo solo Chez Maxim a Parigi (ero troppo piccola per ricordare nomi di chef) o i 12 Apostoli qui a Verona, poi c’erano ristoranti e trattorie che si distinguevano dall’appellativo “se magna ben” o “se magna mal”, poi c’erano i pranzi in famiglia dove poteva avvenire che si chiedesse la ricetta delle lasagne alla zia o della torta alla nonna e quella era l’unica occasione in cui si parlava di dosi e modalità di cottura.

La cosa più esotica era l’ananas nella fruttiera.
L’unico critico gastronomico che ricordo era Luigi Veronelli e pochi avevano l’ardire di contraddirlo.

Avete già capito dove voglio arrivare…

Oggi siamo tutti critici fotografici e gastronomici, ma nello stesso tempo anche professionisti dello scatto e del soffritto, saputelli e convinti di essere circondati da incompetenti o peggio di essere noi dei geni incompresi.

Frequento forum e vedo molte trasmissioni televisive sull’argomento e trovo sempre una quantità impressionante di supponenza, maleducazione, arroganza, e soprattutto mancanza di basi, di gavetta, di effettivo genio che distingua il grande artista dall’onesto artigiano, quando va bene.

Ma a tutte queste persone è dato spazio, visibilità, credito.

Milioni di foto sono quotidianamente caricate in rete, molte con il nome dell’autore preceduto da Ph, in decine di trasmissioni a tema cibo centinaia di cuochi dilettanti propinano piatti improbabili a chef inorriditi, non si accettano critiche ne’ pacati suggerimenti (vedi l'ultimo vincitore di Masterchef Italia)

Gattini, tramonti e modella tatuata...ce le ho tutte!

Ho letto basita un acceso scambio di commenti tra Settimio Benedusi e qualche illustre sconosciuto che non accettava la sua opinione sulle troppe foto che girano di gattini, tramonti e modelle tatuate col culo per aria.

Non sei d’accordo? Benissimo, però cerca almeno di argomentare con cognizione di causa.
No, dicevano che anche loro sarebbero famosi se avessero a disposizione set, modelle e attrezzature al top come lui… 

Leggo commenti alle magnifiche foto di Giovanni Gastel (che io adoro) dove si disquisisce perfino sulla vita privata dei soggetti ritratti o si liquida lo scatto con un “banale, da te mi aspettavo di più” (tra artisti ci si dà del tu, ovviamente).

Probabilmente avere ottenuto qualche decina di “like” su Flickr o Instagram autorizza questa pletora di imbecilli a parlare a vanvera senza rispetto per la professionalità di chi mastica di fotografia da decenni.

Ma guarda e impara!

É stancante assistere a queste continue polemiche, al quarto d’ora di celebrità di pomposi dilettanti, a questa corsa al consenso e alla notorietà a scapito della qualità, delle regole di base, senza pazienza e senza umiltà.


Mi sono scoperta a desiderare un coppapasta.  Attrezzo del quale fino a poco tempo fa ignoravo perfino l’esistenza. Conosco il pepe di sichuan e forse un giorno preparerò del gelato usando il ghiaccio secco.

Che anch’io stia abbracciando il lato oscuro?  Farò vedere a Heston Blumenthal chi è più bravo…
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giovedì 10 settembre 2015

Vogliamoci bene



Quest’estate è stata veramente brutta per me, è inutile girarci intorno.

Oltre alla grave perdita di cui ho parlato nel post precedente, che ovviamente mi ha prostrata in modo quasi totale, si aggiungeva la stupida ma fastidiosa frattura al mignolo del piede che per un mese mi ha letteralmente azzoppata.

Però una volta recuperato l’uso dell’arto ho avuto la brillante idea di comprarmi uno di quei buoni di Groupon che prometteva una completa “Remise en forme” con poca spesa e soprattutto poco sforzo.

Volevo fare qualcosa per me.   

Per volermi bene e cercare di mantenere al meglio questo corpo che in quel momento mi sembrava proprio troppo vulnerabile.

Io nella vita sono stata fortunata, magra senza fare particolari rinunce e non ho mai avuto gravi malattie. 

Ci sono stati anni in cui frequentavo la palestra o giocavo a tennis, ma sempre come passatempo.

Così bella ottimista mi sono presentata al centro estetico per parlare con un medico nutrizionista e stabilire cosa si poteva fare per dare una risistemata generale.

Questo bel tomo, che purtroppo dall’età  potrebbe essere mio figlio, mi ha squadrata e dopo un gentile complimento sul fatto che dimostro 10 anni di meno è partito con l’analisi dettagliata di tutte le mie magagne.

Misurata, pesata, tastata, è emersa una generale “lassità” cutanea, un certo ristagno di grasso nell’addome e sui fianchi, sopra le ginocchia… per non parlare delle braccia flaccide e del collo, che però ci penseremo.

-        Ma comunque per l’età che ha è fortunata – diceva magnanimo – non ha nemmeno i capillari nell’interno cosce, cosa rarissima! – proseguiva sornione.

Affondava le dita nelle mie carni molli e prendeva nota, pensieroso.
Poi mi ha scannerizzato con una macchina diabolica che ha sputato fuori la distribuzione di tutta la mia massa magra e grassa sottolineando quando e dove si discosta dalla norma (di poco, per fortuna).

Sgridandomi perché non faccio attività fisica regolarmente, mi ha dato i compiti per le vacanze: avevo due settimane per compilare un diario alimentare, in cui scrivere tutto quello che mangiavo nei più piccoli dettagli e poi avrei dovuto fare almeno 3 chilometri a passo veloce (media di almeno 6 chilometri all’ora) tre o quattro volte la settimana, usando l'applicazione per IPhone Runtastic.

Infatti poi avrei dovuto spedirgli via mail tutti i dati e lui avrebbe emesso la sentenza.
Che è stata molto severa!

Intanto, visto che l’attività fisica l’avevo svolta più che bene (per fare la sborona avevo fatto più strada e più velocemente…) mi ha aumentato i chilometri e la media oraria, tipo 5 km in quaranta minuti quattro volte a settimana e poi è arrivata la mazzata sotto il nome di: DIETA DISSOCIATA.

Una cosa tristissima. 
Non si basa tanto sulla riduzione delle quantità di cibo ma sugli abbinamenti.

In pratica non si possono mangiare nello stesso pasto proteine e carboidrati insieme, perché essendo alimenti acidi e basici affaticano lo stomaco e rallentano la digestione ed il metabolismo e producono una specie di intossicazione.
Quando hai la mia età, perché a 20 anni digerisci anche i sassi ovviamente!

Insomma per gustarmi una carbonara dovrei mangiare gli spaghetti a pranzo, il guanciale la sera, le uova a pranzo del giorno dopo e il formaggio la sera.
Sì, perché anche mescolare le proteine non va tanto bene.

Quindi sì pasta al pesto, no amatriciana. Sì bistecca e insalata, no spezzatino con patate.

E la frutta lontano dai pasti, e un bicchiere di acqua tiepida (!) con limone ogni mattina a digiuno, niente dolci … cosa ve lo dico a fare!

Ma tutto questo mi ha distratto dal pensiero costante della mia amica Simo e della morte che ci coglie a caso e senza regole.

Ho iniziato a camminare tutte le mattine presto, ascoltando le mie canzoni preferite, facendo un percorso tra i campi, incontrando altri runner e diventando sempre più resistente.

Ho preparato insalate di riso in due sessioni, la prima per me e la seconda aggiungendo formaggio e tonno o prosciutto per il resto della famiglia.

Ho provato ricette nuove e imparato a bere di più.  Sono stata molto diligente.

Ho scoperto in una lunga corsia di Decathlon che esistono scarpe per ogni tipo di camminata, frequenza e lunghezza.
Inforcando i miei occhialini da presbite mi sono letta tutte le caratteristiche e adesso sfoggio un paio di Puma da “Camminata sostenuta” per 45 minuti al giorno, 5 volte a settimana.  Perfette!

Mi sono data 4 mesi.
A dicembre mi strafogo. Cascasse il mondo!
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