giovedì 29 dicembre 2011

Cosa si fa all'ultimo - un anno dopo

L’anno scorso avevo scritto dei miei veglioni del passato.

Negli ultimi anni invece, per cause diverse, abbiamo decisamente abbandonato l’idea della “serata danzante” a favore di una cena più o meno pantagruelica con brindisi a mezzanotte.

Si è iniziato ormai parecchi anni fa, quando i figli di mio marito erano piccoli.


Non si sa perché a Natale l’affidamento non toccava mai a lui, ma già il 26 arrivavano carichi di compiti da fare e senza vestiti di ricambio per restare fino all’Epifania.
Così a San Silvestro organizzavamo una cena piena di cose buone e divertenti da mangiare, tipo mousse di tonno negli stampini per la sabbia, uova sode con le bandierine, vol au vent e barchette di pasta brisee, tartine dalle strane forme. 

Compravamo un sacco di mortaretti e fuochi d’artificio che sistemavamo nel prato davanti casa. Poco prima di mezzanotte cercavamo di svegliare la bimba più piccola, sempre senza risultato, e facevamo i botti solo con il maggiore.
Cani e gatti scappavano disperati e dopo una mezz’oretta eravamo già tutti a letto.

Questa è stata la serata “tipo” per diversi anni. Infatti nel frattempo era nata nostra figlia e quindi c’era sempre qualcuno a cui dover badare.

Adesso nessuno ha più bisogno di essere “badato” ma noi non abbiamo più voglia di ballare da un pezzo. E comunque, alla nostra età, è un attimo cadere nel ridicolo…

Così veniamo in montagna. Abbiamo un luogo e un albergo prediletti, dove ormai siamo di casa.
Estate e inverno trascorriamo qui almeno una settimana, sempre nella stessa piccola suite, con un salottino dove dorme nostra figlia e dove c’è un altro letto per eventuali fratelli di passaggio, e la camera matrimoniale per noi.

Il pomeriggio dell’ultimo viene costruita “la vecchia” nella radura di fronte l’albergo. Si tratta di una grande catasta di legna e cartone, ricoperta di vecchi vestiti, alla quale viene dato fuoco a mezzanotte.
Durante il cenone alcuni bambini passano tra i tavoli a raccogliere i bigliettini dove ognuno ha scritto i desideri per l’anno nuovo. Vengono poi radunati e messi in una scatola che brucerà assieme alla vecchia.

Tutti imbacuccati si assiste a questo rito propiziatorio, scoppiando mortaretti e brindando.
Dopo, in taverna, inizierebbe la serata danzante. Così almeno ci dicono.

Noi invece ci rifugiamo nel lettone col baldacchino intagliato.

Il primo dell’anno le piste sono sempre magnifiche e vuote: bisogna approfittarne.
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lunedì 26 dicembre 2011

Passata la festa


Bene, facciamo una tacca sul giorno di Natale. 
Anche quest’anno è andato e adesso la strada dovrebbe essere tutta in discesa.   
Oggi è il giorno degli avanzi, del brodino di sera per fare i bravi. 
Del ciondolare per casa in felpa e calzettoni antiscivolo, tra un filmetto natalizio, un gioco sulla Wii, le carte e il computer.

Al di là di tutte le cose scritte nelle scorse settimane, si fa fatica ad essere proprio esaltati da questo Natale.

C’è latente una certa preoccupazione a causa della crisi economica. 
Cerco di essere ottimista, ma vedo pochi segnali positivi, nonostante gli sforzi di questi tecnici messi lì apposta.   
Non occorre leggere i giornali e vedere i TG per notare sintomi allarmanti. 

Parenti, amici, conoscenti che da mesi sono disoccupati e cercano un impiego, che si arrabattano facendo lavoretti di ripiego, che rinunciano anche ad un’uscita in pizzeria perché risparmiare è ormai l’unico stile di vita che possono permettersi.  

Mia madre ha regalato a una sua vecchia amica un bonifico perché possa pagarsi una visita specialistica.  Siamo a questo punto. 

Questo Natale è stato come un Sabato del villaggio dilatato. 

Sono belli i preparativi, l’attesa e l’idea della festa. 
Ma quando si arriva al dunque c’è solo la cruda realtà dei giorni normali e dei problemi strategicamente accantonati per l’occasione.

Poi nel mio caso, alla mia età, si è circondati da parenti anziani, ma che dico, proprio vecchi.
Quelli che sono rimasti. 
E’ impossibile non fare confronti e ricordare le feste di tanti anni fa, di quando c’erano tutti e tutti erano sani e pimpanti.   

Io non sono una che frequenta assiduamente il parentado per cui quando mi capita di rivedere qualcuno è sempre uno shock. 
Nella mia mente sono rimasti fermi alle feste per le prime comunioni o al limite dei matrimoni di noi cugini. 

Invece navigano attorno agli 80 anni e hanno l’aspetto di quelle testine rinsecchite che fanno certe tribù amazzoniche.  Sono sempre loro, ma come asciugati e rimpiccioliti.
Terribile. 

Beh, che allegria… in più è iniziato il conto alla rovescia per il 21 dicembre 2012.  
Che fare? In fondo potrebbe essere la soluzione a tutti  i problemi. 
Un po’ drastica, ma così democratica.

Qui ci vuole un Alka Seltzer, i postumi del pranzo di Natale stanno avendo effetti negativi non solo sulla linea, ma soprattutto sull’umore.
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venerdì 23 dicembre 2011

Countdown


Oggi siamo al punto di non ritorno.   
Fatta la mega spesa al supermercato, fatti gli inviti, chiusi gli ultimi pacchetti.

Questa notte somigliavo alla protagonista di “Ma come fa a far tutto”: facevo la lista.   
Cioè l’elenco delle cose da fare per i prossimi giorni.   
Telefonate, mail, sms. 

Ripassavo le ricette dei cibi da preparare da oggi a lunedì, cercando di fare mente locale e non dimenticare nulla. 
Odio dover correre al supermercato la vigilia di Natale e in generale andare a negozi all’ultimo momento.

Poi ci sono le cose che si tirano fuori solo a Natale. 

Il CD con le canzoni tipiche, la tombola, degli stupidi cappelli con le stelline luminose e dei cerchietti con le corna da renna per fotografare Tabù e fare gli scemi, la tovaglia rossa, gli asciugamani in tema, i segnaposto tirolesi e, per riprendere il discorso del post precedente, il DVD de La vita è meravigliosa.

Nella mia personale scaletta ci sarebbe anche la Messa di mezzanotte, ma sono purtroppo circondata da familiari che oscillano tra l’ateismo e la pigrizia, soprattutto la pigrizia.

Così vivo del ricordo di quando andavo al Duomo, a Santa Anastasia o a San Nicolò. 
Poi con tutti i parenti ci trovavamo in una saletta dell’albergo che i miei zii avevano in centro e giocavamo a tombola bevendo cioccolata calda e mangiando una fetta di Pandoro.

Questa cosa non sono più riuscita a farla e la rinfaccio sempre a mio marito, giusto per restare nello spirito natalizio della tolleranza e del perdono…

Ma vabbè, non ci perdiamo in dettagli, mi pare che si possa dare inizio all’operazione Antivigilia, Natale e Santo Stefano. 

Auguri a tutti!
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giovedì 22 dicembre 2011

Film di Natale


In questi giorni mi è capitato di leggere molte liste di tipici film natalizi.

Alcuni titoli elencati mi trovano d’accordo ma ne mancano molti altri che nei miei ricordi sono legati strettamente a questo periodo.

Tra i primi c’è sempre La vita è meravigliosa. Come dissentire? 
E’ il film visto mille volte, fin da piccoli. 
L’angelo Clarence, il cattivo avido, James Stewart così dolce e allampanato, la neve e le buone azioni. 
 
Non c’è niente da dire. La scena che preferisco è quando i due protagonisti arrivano sotto casa dopo essere caduti in piscina…”questa è una situazione piccante!”. Troppo carino.

Nelle liste “ufficiali” c’è anche L’amore non va in vacanza, che ho già detto essere uno dei miei film preferiti, al di là del Natale. E’ perfetto e inverosimile come solo i sogni più belli sanno essere.

Anche Un amore tutto suo con Sandra Bullock e Bill Pullman si batte bene.

Poi ci sono i soliti, quelli dei vari Babbo Natale, quelli degli elfi, delle case americane illuminate da mille lampadine, con Jack Frost sul prato e le renne finte.  Quelli dove c’è sempre qualcuno che non credeva alla magia del Natale, un cinico, un solitario, uno senza scrupoli che alla fine diventa buono, generoso, si innamora e tutti mangiano il tacchino. 

Tocca vederli, ce n’è a tutte le ore. 

Uno che trasmettevano sempre anni fa era Angeli con la pistola, con Bette Davis che fa la barbona trasformata in gran signora da un boss della malavita.  
Lo guardavo sempre con i miei genitori, seduti sul divano di velluto verde con la tela sopra per non rovinarlo….

Un film che amo molto è Family Man, dove recita un attore che di solito detesto, Nicolas Cage. 
La trama però è così bella e tratta di tutte le cose che per me sono importanti, che lo adoro lo stesso. 
E’ un inno alla famiglia, alla semplicità, alle cose banali che fanno “casa”, al tran tran che rende serena la vita.

Poi ho un risvolto “cinico”.  Mi piace Parenti serpenti.   
Purtroppo rimanda a tante riunioni familiari mie o raccontate da amici.  Le stesse dinamiche. Le piccole invidie. I rancori e le recriminazioni. Il fastidio che cova da anni, le falsità.  Tremendo perché troppo reale.

Ho perfino un bel ricordo di un cinepanettone. 
Il primo credo: Vacanze di Natale del 1983. 
C’erano Christian de Sica e un Claudio Amendola giovanissimo. Karina Huff, la Sandrelli e il marito milanese bauscia, Jerry Calà che faceva il pianista filosofo.   
Una cretinata stellare, ma eravamo giovani, Natale alle porte, la cioccolata calda con una fetta di Pandoro, tutta la vita davanti. 

Quando lo rivedo ho sempre un attacco di nostalgia... 
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Quando lo rivedo ho sempre un attacco di nostalgia…
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martedì 20 dicembre 2011

Vivere così così

Un bel post di ieri su la 27esimaora parlava dell'auspicato ripristino del "vestito della festa". Riprendeva un po' il tema del mio post di qualche mese fa La forma e la sostanza.

L'autrice concordava con me riguardo la sciatteria dilagante e la mancanza di qualità alla quale ormai siamo abituati.
In generale alla gente piace cambiare spesso vestito e non importa più di che stoffa è fatto o che taglio e finiture ha.

Basta che appaia nuovo e moderno.
Dopo un paio di lavaggi sembra uno straccio. Spesso gli orli e le finiture sono scadenti fin dall'inizio, ma nessuno ci fa caso.
Non si parla solo di abiti dei grandi magazzini. I difetti sono simili anche nei prodotti di firma, visto che comunque sono confezionati in Cina da manodopera a basso costo.

Questo è un discorso che purtroppo denuncia la mia età.
Infatti i giovani non hanno idea di cosa significhi riconoscere una stoffa, una rifinitura a mano, un taglio sapiente.
Come sempre è colpa nostra che non gli abbiamo insegnato e anzi, ci siamo adagiati per comodità a questo trend negativo.

Quando facevo l'indossatrice il rappresentante per il quale lavoravo mi faceva toccare il cachemire Piacenza di cui erano fatti i cappotti che proponevamo. Le sete di Mantero delle camicie.
Mi faceva notare le cuciture a mano sui revers delle giacche e le lavorazioni double su certi cappottini leggerissimi e caldissimi.
Erano dettagli che facevano la differenza.
I vestiti costavano molto e duravano molto. Le fodere erano resistenti e magnifiche. I bottoni di madreperla o di osso.

Adesso siamo pieni di cose sfiziose che non durano lo spazio di una stagione.
Al primo sfregamento si riempiono di bioccoli, le cuciture si disfano e i bottoni si staccano o si spezzano. I colori sbiadiscono e le fodere si appiccicano e fanno sudare.

E' così in tante cose: non solo il nostro modo di concepire l'abbigliamento è cambiato. La sciatteria dilaga in tutti i campi, gli artigiani di qualsiasi tipo sono specie protetta, la cura del particolare è vista unicamente come perdita di tempo e soprattutto di denaro.

Accettiamo servizi approssimativi da parte di chiunque, dal commesso all'elettricista. Dall'impiegato delle poste al benzinaio.

Va bene così. O meglio, va bene così così.
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venerdì 16 dicembre 2011

Uomini veri...


Leggo che un’importante azienda olandese che produce biancheria intima ha scelto un testimonial australiano ventenne per la pubblicità del loro push up. 

Sì, avete letto bene. 
Un uomo, tale Andrej Pejic, di origini serbe eletto recentemente “modello più bello del mondo”.

L’androgino biondo nega di essere gay, ma certo a vederlo non è che faccia tanto “sangue”. 
Parlo da donna, ovviamente. Magari eccita qualcun altro.

In ogni caso, per citare il bel film “Mine vaganti”: spuntano come i funghi.  
  
Non c’è campo dove gli omosessuali non siano orgogliosamente presenti. 
Superati i vecchi luoghi comuni dello stilista e del parrucchiere, imperversano ovunque. 
Film, telefilm, reality, talk show, musica, arte e cucina.

Io non ho nulla contro di loro, anzi. 
Sono spesso carini, sensibili, educati e condividono con noi donne tante passioni e manie che ce li fanno desiderare come migliori amici.

Ma sono preoccupata per le donne che non hanno ancora trovato un compagno. 
La scelta si restringe sempre di più.  Già in partenza le donne sono più numerose degli uomini.   
Poi ci sono più vedove che vedovi. E ci sono più gay che lesbiche.

L’uomo etero diventerà una specie protetta.   
Mi dispiace perché quando l’offerta è poca tocca accontentarsi. 
Come diceva Luciana Litizzetto in un altro bel film “Matrimoni e altri disastri”, - mi va bene anche uno con l’alitosi - .

L’uomo etero è in crisi. 
E’ spaventato dall’aggressività delle donne, talvolta dalla loro sfrontatezza e indipendenza.   
Invece di crescere ed evolversi, spesso fugge a gambe levate.  

Forse non è più capace di lottare per l’amore, di bruciare di passione, di fare pazzie per una donna.  Preferisce pagare per non pensarci più oppure trovare una straniera remissiva (fino a quando lei non si emancipa e li lascia…).

Sembra che la profondità di sentimenti, la tensione amorosa, l’altro come centro del proprio mondo, sia appannaggio solo delle coppie gay.

Io non ricordo un bacio più appassionato e “urgente” di quello visto in Brockeback Mountain, amori più teneri e solidali di quelli descritti da Ozpetek, genitori più intercambiabili e collaborativi di quelli di Modern Family.

Che le donne e gli uomini etero siano destinati a restare single? 

Ognuno indipendente e “salvo” da tutte le meravigliose complicazioni della vita di coppia?

Saranno gli omosessuali a portare avanti l’immagine della famiglia vera, quella dei piccoli battibecchi, dei sacrifici, della cura condivisa dei figli e della casa, delle tenerezze e dell’amore finchè morte non ci separi?
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martedì 13 dicembre 2011

Il primo appuntamento non si scorda più...


Come regalo di Santa Lucia la mia autoradio ha deciso di perdere tutte le stazioni che avevo memorizzato così mi sono ritrovata ad ascoltare Radio Montecarlo.    
Non è male, anzi.
Ad un certo punto i DJ hanno lanciato la seguente domanda: “Su cosa puntate per far colpo al primo appuntamento?”.

Io nel frattempo ero arrivata a casa e non ho sentito le risposte degli ascoltatori, ma la domanda ha continuato a ronzarmi in testa e così ho cercato nei meandri della memoria qualche lontanissima esperienza personale.

E’ incredibile come possano trascorrere anni, decenni ormai, senza pensare più a qualcosa. 

C’è stato un tempo in cui aspettavo e temevo il primo appuntamento. 
Si arriva a questo fatidico momento in vari modi. 

Passivamente e spesso per sfinimento se si è stati oggetto di lunghi abbordaggi, di insistenti inviti, di descrizioni minuziose di ristorantini o luoghi sconosciuti ai più in cui l’uomo di turno vuole assolutamente portarti per vivere questa esperienza unica.

A me capitava di accettare di uscire con la stessa mentalità con cui si fa un fioretto, del tipo: “Dai, sforzati, è inutile che ti lamenti di essere sola se poi non esci con nessuno!”.
Questa soluzione non ha mai portato a nulla. 

Per l’occasione mi preparavo senza particolare ansia e al massimo mi segnavo mentalmente il posto per una eventuale seconda visita con qualcuno di più meritevole.
Potevo essere veramente sgradevole. 
Un po’ come faccio ora con i poveri operatori dei Call Center. “Grazie, non mi interessa, non voglio essere più disturbata”.

Poi c’erano gli “altri” primi appuntamenti.
Quelli desiderati, per i quali si era lavorato in modo sommerso ma implacabile, quelli che facevano passare ore a letto con l’occhio sbarrato ipotizzando tutti i possibili scenari, quelli che ti facevano venire caldo e freddo guardando l’orologio e contando il tempo che mancava.

Qui la preparazione era accurata: trucco e parrucco, scarpa tattica, vestito che esalta quello che c’è e mimetizza quello che non va, orecchini pendenti da far ondeggiare a ogni risatina, anelli con cui giocherellare per fargli vedere che belle mani che hai, poco profumo ma molta pulizia.
Ricordarsi di parlare poco e ascoltare molto. 

Che esito avevano? Praticamente lo stesso del primo tipo.  

Grosse delusioni e per giunta dopo aver sprecato tempo e denaro nella preparazione. 
Aver investito il solito pacco di sogni e speranze per niente.
Doversi anche scusare “Ops, mi ero sbagliata, porta pazienza….” 

Adesso so perché non avevo più ripensato a questa cosa: il primo appuntamento è un’esperienza che spero di non dover mai più ripetere. 

Giusto l’ultima volta mi è andata bene.  
Ci credo: con tutti i fallimenti precedenti non potevo sbagliare!
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