Domani finisce la scuola.
E inizia il periodo peggiore per me “madre”.
Avere una figlia che ciondola per casa, tra
il computer e la televisione, rintanata in camera a leggere o sul divano a
guardare film orientali sottotitolati solo in inglese.
Odia lo sport, odia il sole, odia il caldo. L’estate quindi
è “il nemico” per lei.
Il pensiero corre a questo punto alle mie estati di tanti
anni fa.

Il lunedì successivo alla fine
della scuola si partiva con la roulotte per mete lontane.
Mio padre
riusciva ad avere 4 settimane filate di ferie e, quando ho compiuto 12
anni, è andato in pensione: quindi si stava in giro per quasi 3 mesi.
Il viaggio veniva organizzato scrupolosamente.
Con carte geografiche e guide turistiche.
Carta e penna alla
mano si facevano i conti delle varie tappe (mio padre non voleva mai guidare per più di 450 chilometri al giorno), si studiavano gli itinerari di base, i
luoghi da visitare, quanti giorni per ognuno.
Si andava in banca per ordinare i
traveler’s cheques, si andava a far la
spesa di scatolame, latte in polvere e condensato, pasta, riso, e tutto quello
che poteva essere stipato nei pozzetti della roulotte.
A seconda della meta:
scorta di amuchina e di enterogermina.
Vaccinazioni contro tifo, colera e febbre gialla.
Roba seria.
E si partiva. Di solito nel primo pomeriggio ci si fermava
in un campeggio.
Io ero addetta a tirar giù le “pedivelle” della roulotte e con
l’aiuto della bolla a sistemarla perfettamente.
C’era da attaccarsi alla corrente, da riempire il serbatoio
d’acqua, magari attaccare la tenda parasole sul davanti.
Tutta una serie di
operazioni collaudate dove ognuno di noi faceva la sua parte.
Io avevo un quaderno dove tenevo il conto del chilometraggio
e dei rifornimenti.
Mia madre aveva le guide turistiche e ci spiegava la storia
dei monumenti, delle chiese, delle guerre ecc. e mio padre studiava i percorsi
stradali e documentava la vacanza con centinaia di diapositive.
A volte, durante i trasferimenti più lunghi, ci fermavamo a
dormire nel piazzale di qualche distributore o al limite davanti la stazione di
polizia.
Spesso la gente si fermava a
chiederci se avevamo bisogno di qualcosa o ci portavano il te, le verdure, i
dolci.
Volevano che visitassimo le loro case e i bambini toccavano i nostri vestiti
ridendo.
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Lungo il fiume Eufrate |
Una volta, in un villaggio sperduto della Turchia, abbiamo
regalato tutte le mollette per il bucato perché erano a forma di coccodrillo e
un bambino che non ha nulla può giocare anche con quelle.
Mi portavo via una scorta di Topolino da leggere ma quasi
mai li riportavo a casa.
C’era sempre qualcuno che li vedeva e allungava la
manina.
Al confine con la Siria, mentre stavamo sbrigando le eterne
pratiche doganali, dei bambini hanno visto che avevamo un filone di pane appena
comprato appoggiato nel sedile posteriore.
Il loro sguardo implorante me lo ricordo ancora.
C’erano estati in cui si era deciso di visitare il Nord
Europa.
Ad un certo punto capitava che
dall’Olanda, oppure dalla Germania, dopo giorni e giorni di pioggia, mio padre
girasse la roulotte e si dirigesse verso le coste della Yugoslavia o della
Grecia.
Questo capitava quando non avevamo più un vestito pulito e
un paio di scarpe asciutto.
Le mie zie
dicevano che andavamo in giro “come i sengali” (gli zingari) e forse non
avevano tutti i torti!
Però è stato bello.
Ho visitato posti e conosciuto persone
in epoche in cui viaggiare era privilegio di pochi.
Non c’era il terrorismo,
non c’era paura dell’estraneo, di chi è di un’altra fede. L’unico furto che abbiamo subito è stato di un
ombrello in Bulgaria…
Quando si incrociava un’altra auto con roulotte ci si
facevano i fari.
Trovare un italiano nello stesso campeggio era un tale
avvenimento che si diventava amici per forza e ci si scriveva per anni…
Adesso è cambiato tutto. Il mondo è cambiato.
Non posso
offrire questo genere di estati a mia figlia. Non ci sono più i presupposti per
farlo.
Sono triste per lei che viaggia dal divano e non ha mai
succhiato di nascosto il latte condensato dal tubetto.
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