Il giuggiolo nel mio piccolo giardino è stracolmo di frutti di un bel marrone lucido. Mi da’ il buongiorno ogni mattina quando apro la finestra della camera da letto.
Lui non lo sa, ma è stato piantato insieme ad altre specifiche piante come la rosa, la vite e gli ibischi, a perenne memoria degli anni in cui ho vissuto sui Colli Euganei nel podere della famiglia di mio marito.
Lì ogni pianta aveva la sua storia.
Dagli anni trenta, prima il nonno e poi il padre di mio marito avevano piantato vigneti e frutteti, messo a dimora piante ornamentali e olivi, rosai ed iris.
La famiglia dei mezzadri che gestiva l’azienda vitivinicola ci aveva messo del suo, innestando molti castagni con i marronari, piantando salici e pioppi piumati, cipressi e acacie.
All’inizio degli anni ’90, quando ci siamo trasferiti nella villetta delle vacanze sopra al rustico principale, il podere era stracolmo di piante che avevano preso il sopravvento.
Io e mio marito, con l’entusiasmo dei neofiti, avevamo deciso di prendere in mano la situazione.
Lui mi raccontava gli aneddoti legati ad ogni pianta: il ciliegio dal quale suo fratello si era lanciato fratturandosi il braccio, la prima vite di barbera piantata dal nonno che ormai aveva il tronco più grosso di quello di un albero, i quattro pioppi nel vigneto basso chiamati col nome dei mezzadri: Antimo, Miranda, Narciso e Toni e cosi via.
A nostra volta abbiamo legato i nostri ricordi ad altre piante.
A due giovani cotogni che ci hanno regalato fioriture meravigliose.
A fichi così piccoli e dolci che non abbiamo mai più mangiato.
A meli e peschi inselvatichiti che abbiamo fatto fruttificare di nuovo con grande soddisfazione.
C’erano rose e ortensie che gridavano vendetta e olivi così alti da doverli potare con cesoie e seghetti attaccati a lunghi pali.
Mettevo mia figlia nello zainetto e passeggiando lungo i filari ed il ruscello le elencavo il nome di ogni albero, dai noccioli ai bagolari, dal noce dietro il vecchio porcile all’ippocastano con le castagne matte che raccoglieva per giocare.
Due enormi cedri del libano dove avevamo costruito una piattaforma di legno da raggiungere con una scaletta.
Il tiglio con l’altalena attaccata al ramo più basso e un glicine bastardo che non ne voleva sapere di fiorire.
Davanti la cantina quando è nata nostra figlia avevamo piantato una betulla.
La sua betulla.
La sua betulla.
Poi tutto è stato parcellizzato e venduto a persone diverse.
La villetta col suo giardino, la cantina, il vigneto alto, quello basso e il bosco.
La villetta col suo giardino, la cantina, il vigneto alto, quello basso e il bosco.
Nessuno degli acquirenti sa la storia delle piante.
Ma io la conosco e qualche volta su Google Earth controllo se stanno bene e ripercorro i sentieri che facevo con mia figlia sulle spalle, rimpiangendole come si fa con i vecchi amici lontani e mai dimenticati.
Ma io la conosco e qualche volta su Google Earth controllo se stanno bene e ripercorro i sentieri che facevo con mia figlia sulle spalle, rimpiangendole come si fa con i vecchi amici lontani e mai dimenticati.
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Un peccato.. ma uno zaino di ricordi dolcissimi per te!
RispondiEliminaTrasforma queste storie in favole per la tua bambina!
è un racconto struggente, che tocca il profondo dell'anima... alberi, amici, fratelli, compagni di strada
RispondiEliminaGrazie di questi bei commenti. E' stato un peccato dover rinunciare alla campagna, ma i ricordi non ce li porta via nessuno e, cosa più importante, siamo felici anche adesso, con un piccolo giardino e molte meno preoccupazioni...
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