Il Crespi Bonsai Museum a Parabiago.
Se come me amate le piante e riuscite a dare un senso a questa nostra vita anche solo guardando la natura e le sue meraviglie, non potete mancare di trascorrere un'oretta in questo museo.

In una bella struttura di cemento, vetro e acciaio ci si immerge in un'arte antica e lontana, dove ogni "opera" è il frutto del lavoro di molti maestri.
Sì, perchè un bonsai spesso e sperabilmente sopravvive a chi lo ha creato e può allietare generazioni e generazioni di appassionati.
Ogni albero segue particolari forme e tipologie: spazzato dal vento, boschetto, sulla roccia, a cascata e così via.
E' contenuto in un vaso che è già prezioso di per sè e qualche volta piccole statuine ed ornamenti ne decorano la base, simulando un paesaggio o un giardino in miniatura.
Ci si sente un po' come Gulliver nel paese di Lilliput.

Il punto focale del museo è una sala a cuspide dove campeggia il bonsai Ficus retusa Linn, di oltre mille anni, contenuto in un vaso di terracotta considerato il più grande vaso bonsai del mondo.
Questa pianta spettacolare è stata acquistata da Luigi Crespi dopo 10 anni di trattative e periodicamente viene richiesta da miliardari europei ed arabi, che finora non sono riusciti a convincere il proprietario a venderla.
Si resta ammutoliti di fronte a tanta bellezza, al pensiero delle centinaia di maestri che l'hanno curato nel corso dei secoli, a tutte le fasi della storia che ha superato indenne...
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Il mio amato acero, morto a 31 anni... R.I.P. |
Un alberino stupendo: d'inverno perdeva le foglie, in primavera si copriva di germogli rosso acceso che poi diventavano verdi foglioline a cinque punte, ingiallendo infine in autunno.
Ogni anno lo portavo a fare "il tagliando" in un centro specializzato e lo lasciavo lì anche quando andavo in ferie.
Come fosse un cucciolo lo curavo amorevolmente, usando speciali forbicine per potarlo e fertilizzanti cari come l'oro per nutrirlo.
E' sopravvissuto a due traslochi, dalla casa dei miei alla mia di single, a quella in campagna sui Colli Euganei.
Era un bellissimo trentunenne quando la vita ci ha portato a traferirci vicino a Mantova, lungo il Pò.
Tre mesi ed era morto stecchito.
Prima vittima dell'umidità di quei posti, seguito a ruota dalle nostre schiene, bronchi, nasi, elettrodomestici.
Un'ecatombe.
Da allora, pur avendo traslocato in un luogo più salubre, non sono più riuscita a mantenere in vita un bonsai.
Peccato.
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