Ieri è stato ricordato Jim Morrison, a quarantanni dalla scomparsa.
Si tende sempre a "santificare" quelli che sono morti giovani, ma spesso a me la cosa suscita un certo fastidio.
Se una persona è mancata per un incidente o una malattia, insomma per una disgrazia, va bene. Mi dispiace.
Ma quando se l'è andata a cercare, molto meno.
Tutte queste icone, belle, ricche e fortunate che nonostante tutto erano così infelici mi provocano più rabbia che compassione.
Proprio l'altro ieri sentivo di Johnatan Rhys Meyers che ha tentato il suicidio. Poi tornando indietro penso a River Phoenix, a Heath Ledger, Kurt Cobain e decine d'altri attori, cantanti, artisti che non sono stati capaci di gestire il successo.
Sono probabilmente travolti dal meccanismo dello show business, si circondano di adulatori e perdono di vista la realtà e gli affetti veri.
Chissà se è così difficile mantenere la propria identità e riuscire a dare il giusto peso a quello che si rappresenta per il pubblico. Rimanere se stessi al di là di tutto. Credere alle stesse cose in cui si credeva "prima". Mantenere i legami con le proprie origini e trarne forza.
Io so che ogni volta che mi giunge la notizia di un giovane artista stroncato dalla solita overdose di droga o farmaci, penso che la vita non andrebbe mai sprecata. Penso che in qualche modo chi si uccide sia un vigliacco. Ancora di più se sa fare qualcosa che fa star bene tanta gente.
Un traditore. Bisognerebbe essere arrabbiati con queste persone, non considerarli degli eroi.
Al cimitero di Père Lachaise ho snobbato la tomba di Jim Morrison, ma ho guardato con tenerezza quelle di Yves Montand e Simone Signoret: due che si sono amati, traditi e amati di nuovo, continuando a recitare per il loro pubblico e a vivere per se stessi. Fino alla vecchiaia, fino in fondo.
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