mercoledì 21 novembre 2012

La mitica trasferta



Ieri su Facebook un vecchio collega/amico ha pubblicato la scansione di un memo che gli avevo mandato una ventina di anni fa.   
E’ incredibile come la gente conservi le cose più assurde!

In ogni caso mi ha fatto piacere rileggerlo perché mi ha fatto ricordare l’unica vera trasferta “seria” e del tutto anomala che ho fatto in carriera.

Ero l’assistente del Direttore Tecnico di Andersen Consulting, una multinazionale americana (oggi Accenture) che si occupa di consulenza e sistemi informativi.   
La sede mondiale è a Chicago ed in Italia è a Milano.   
I clienti erano generalmente italiani ma alcuni lavori richiedevano collaborazioni tra uffici di più paesi.

Un venerdì sento una gran confusione nell’aria: l’ufficio di Atene che era nostro partner in un importante progetto bancario aveva bisogno di tutta una serie di documenti entro lunedì mattina e nessun corriere garantiva la consegna in tempo.

Così, portando via l’ennesimo vassoio di caffè dalla sala riunioni, la butto lì, come una battuta: “ci andrei io in Grecia se potessi!”.

Mi hanno guardato come fossi un’apparizione e io stessa ho controllato di non avere qualcosa di strano e fuoriposto viste le facce di tutti.   
Fatto sta che nel giro di un paio d’ore ero munita di biglietto di treno per Milano, dove avrei dormito in albergo e ricevuto le ultime carte dalla sede centrale e di biglietti andata e ritorno per Atene e prenotazione nell’albergo dove c’era il mio collega veneziano che da settimane collaborava per questo progetto del quale non si vedeva la fine…

Così son partita, con tanto di “pilotina” (la mitica valigia degli Arturi – come venivano chiamati i miei colleghi) e sono arrivata in una città arroventata nonostante fosse fine settembre. 
Ho scoperto che i taxi si fermano a far salire altri clienti anche se ci sei già tu e che ti scrivono una ricevuta su un ritaglio di giornale…

Era pomeriggio quando ho raggiunto l’ufficio. 
E’ stato quasi un momento mistico: aperto l’ascensore c’era la riproduzione esatta della porta simbolo dell’azienda!   
Insomma solo chi ha subito l’indottrinamento americano sull’appartenenza e l’orgoglio di far parte “dei vincenti” può capire la mia stupida emozione di allora…

Ho svolto al meglio il mio compito, cioè la consegna di un plico. 

E qui entra in gioco Franco, il mio collega, che a sua volta dopo settimane di rotture di scatole mi deve aver visto come un piacevole diversivo, qualcuno con cui almeno parlare in italiano e soprattutto non di lavoro.

Siamo scappati verso il porto e abbiamo preso un fatiscente aliscafo per l’isola di Aegina. 
Lì abbiamo girovagato e mangiato in un baracchino che faceva polipo ai ferri, poi siamo rientrati con un battello e abbiamo passeggiato per la città ed io mi ricordo solo l’aria inquinata e la mia sete terribile. Ero frastornata, accaldata, stanca. 
C’erano molte salite, i venditori di spugne di mare, musica, turisti. 
Per fortuna Atene l’avevo già visitata anni prima perché in quell’occasione non c’è proprio stato il tempo.

Già la mattina dopo avevo l’aereo da prendere, che ho rischiato di perdere dato che avevo sbagliato il terminal.   
Sono arrivata a Roma e da Roma ho volato verso Verona in compagnia degli attori del Bagaglino. All’aeroporto qualcuno ha pensato che fossi la moglie di Martufello…

Arrivare in ufficio il lunedì mattina e poter dire “Missione compiuta” è stato impagabile!

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6 commenti:

  1. Ho una vaga idea di come ti sei sentita. Bei ricordi... ed è vero, anche io tengo le cose più assurde per il gusto di ritrovarle dopo tanto tempo, rileggerle e rivivere tutto quasi (quasi) come fosse successo ieri.
    Anche i tuoi ricordi mi sembrano ancora molto vividi.

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  2. Ed eccomi qua! C'è sempre un che di nostalgia nei ricordi... chissà forse bisognerebbe non conservare mai niente che li possa forzare!
    ciao
    franco

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    1. Ma noooo! Io conservo ancora le foto del vecchio aliscafo: la prova che non era il nostro turno di morire! La nostalgia c'è sempre più spesso e ormai non ha bisogno di nulla per innescarsi...

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  3. La mia amica ed il suo compagno hanno lavorato all'Artthur Andersen una vita fa. Oggi fanno cose simili, altrove, dopo una scelta di vita che li ha fatti decidere di lasciare l'Italia. Mi piace quando pezzi del passato ti cadono addosso improvvisamente, accorciando le distanze con i ricordi.
    E' bello.
    Raffaella

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  4. Che bella avventura!!
    E che coraggio... anni fa a Roma tutti temevano la pressione lavorativa a cui si era costretti in Andersen.

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    1. Era un nido di caimani schizzati, tranne qualche rara eccezione...

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