Dicono che dopo il funerale si inizia ad elaborare il lutto.
Elaboro elaboro, ma il pensiero va sempre lì, alla mia amica
Simonetta che se ne è andata in meno di tre mesi, senza che ci fosse mai un
barlume di speranza.
Solo una tremenda
attesa della fine.
Giornate lunghe e caldissime, un senso di incredulità e
impotenza a fare compagnia a tutti noi che agli inizi di giugno siamo stati
catapultati in questo girone infernale.
Il male incurabile esiste. Una verità che si rifiuta anche
quando si è di fronte all’evidenza.
Alcuni di noi sono così sfortunati che all’ospedale i medici non possono
fare altro che cercare di alleviare il dolore.
Simonetta era una mia compagna di classe delle superiori.
Non ci vedevamo spesso, ma tramite la nostra comune amica
Elena avevamo costanti notizie e scambi di saluti.
Lei era quella che in gita suonava la chitarra.
Anche se negli anni successivi ci eravamo incontrate diverse
volte per me lei resterà sempre quella della V F, con l’Eskimo e le Clarks, le unghie
mangiate fino alla radice ed i denti piccoli e bianchissimi.
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Foto "rubata" dalla sua pagina Facebook...è così che la ricordo |
Anche se l’ho vista all’ospedale, con la mascherina per l’ossigeno e la flebo di morfina, lei sarà sempre quella con i maglioni larghi e la sigaretta in bocca, timida e polemica allo stesso tempo.
Morire la settimana di Ferragosto.
Un contrasto stridente tra il bombardamento di immagini
felici, di vacanze, abbronzature, grigliate e serate di festa e la visione di
lei sul marmo dell’obitorio.
Se muori la settimana di Ferragosto ti fanno il funerale la
settimana dopo.
Perché il carrozzone delle ferie va avanti imperterrito.
Ed è stata una continua contraddizione.
Ritrovarsi con le vecchie compagne, essere felici di vederle
e nello stesso tempo scoppiare a piangere.
Riabbracciare dopo decenni il professore di italiano e
singhiozzare senza vergogna.
E salutarsi dicendoci che dobbiamo organizzare un incontro,
che non deve più passare così tanto tempo e sapere che un po’ di tristezza
aleggerà sicuramente tra di noi, che niente sarà mai più come prima.
Insomma la mia estate è andata così.
Scrivere sul blog sembrava perfino offensivo. Di cosa parlare?
Un senso di colpa mi pervadeva e mi pervade tuttora solo perché
io sono sana.
Ho passato una settimana al mare sospesa tra felicità di
esserci finalmente tornata dopo anni e l’apprensione per quello che si stava
consumando a casa.
E nonostante tutto speravo sempre.
I dottori si sbagliano.
Quante volte l’abbiamo sentito. Ognuno di noi conosce sicuramente il caso di
qualcuno dato per spacciato e che dopo anni sta ancora bene.
Ci si aggrappa a qualsiasi cosa. Esistono anche i miracoli.
Guarigioni inspiegabili. Terapie alternative. Qualsiasi cosa.
Invece no.
Adesso tiriamo tutti avanti.
La vita continua.
Il luogo comune impera.
Amen.
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