giovedì 26 aprile 2012

Le cose perdute di Guccini


Sto finendo di leggere “Il dizionario delle cose perdute” di Francesco Guccini. 
E’ chiaro che non potevo esimermi dal comprarlo…

Le cose perdute sono quelle di cui mi piace scrivere e quindi stasera lo finirò e da domani inizierò a colmare una delle mie più grosse lacune: i romanzi di Jane Austen.  Ma di questo parleremo più avanti.

Piacevolmente sorpresa ho scoperto che Guccini è molto più vecchio di me. Almeno uno, dico io.

Quindi le cose perdute di cui parla coincidono spesso con i racconti dei miei genitori ma, nonostante tutto, alcune invece le condivido con lui pienamente.

Per esempio la siringa di vetro. 
Ho viva nella mente l’immagine del pentolino di alluminio dove bolle la siringa. 
La mia rassegnazione alla consueta cura ricostituente primaverile. 
Una ventina di punture che mi faceva una vecchia vicina di casa, chiedendomi sempre da che parte la volevo…come se cambiasse qualcosa!  
 “Stai molla!” mi diceva “che è oleosa e ci mette tanto, da brava”. 

Odiavo la primavera per questo. In più, visto che ero anche anemica, dovevo prendere delle fialette di ferro, ma almeno quelle avevano un buon sapore.

Poi il buon Guccini parla del tubetto di dentifricio.   
Che adesso non si arrotola più. E’ vero.
Ma quando è successo? 
Mi ricordo che era un segnale infallibile per dare un voto agli uomini. 
Se un tipo era di quelli che lo schiacciano in mezzo, non c’era trippa per gatti. Eliminato.
Adesso non c’è modo di accorgersi  di questa “mancanza di viste” e quindi bisognerà basarsi su altri parametri. 
Indossa calzini bianchi? Abbassa la tavoletta del water? Boxer o slip? In ogni caso, non sono più problemi miei…

Ma l’argomento di cui ha scritto Guccini che mi ha fatto fare decisamente un tuffo nel passato è stato “la naja”.

Tutti i miei coetanei hanno fatto il militare. Era obbligatorio. 
C’erano quelli che partivano subito, quelli che si iscrivevano all’università per rimandare, quelli che le provavano tutte per farsi esonerare o congedare. 
Verona era piena di caserme.  Mi ricordo la miriade di soldati in divisa in giro per il centro. 
La cosa peggiore era essere in motorino, ferme al semaforo, di fianco al camion dei militari: quello aperto col tetto di tela.
Erano minuti di grande tensione…  

Erano ovunque. Al cinema, nelle pizzerie, nei bar.   
Una mia compagna di classe ne ha sposato uno. E’ l’unico caso che conosco di una ragazza di Verona che abbia dato corda a uno che faceva il militare qui.

Quanto ai miei amici, la maggioranza andava a fare l’alpino in Friuli o, quelli che volevano guadagnare qualcosa, a fare il corso ufficiali a Roma e stavano via 15 mesi.

Ti scrivevano queste lettere, tipo lettera dal fronte, piene di descrizioni tremende di scherzi pesanti, di freddo nelle camerate, di rancio schifoso, di lunghe ore di marce inutili. 
Parlavano del moschetto della prima guerra mondiale e degli anfibi durissimi. 

Quando tornavano in licenza venivano consolati e rimpinzati come reduci dalla Russia e comunque dovevano portarci fuori il maglione verde con il buco sulla spalla e la cintura con le stelline.
Io per anni ho sfoggiato un paio di pantaloni da parà che erano favolosi.

Si dice che i ragazzi diventavano uomini dopo la naja… 
Era sicuramente un rito di passaggio, una cosa che entrava a far parte del loro bagaglio di ricordi.
Con aneddoti da raccontare sempre più ingigantiti.
Una cosa che poteva darti la possibilità di dire a tuo figlio che fa il difficile a tavola: “un po’ di naja ci vorrebbe!”.
.
.
.

7 commenti:

  1. Ma tu cosa c'entri con la naja ? ;-) Sei una donna ! Forse ci vorrebbe un libro sul dizionario delle cose perdute... scritto da una donna !

    RispondiElimina
  2. Ma se questa naja serviva a formare "veri uomini", mi chiedo: come hanno fatto le ragazze a diventare "vere donne"?

    RispondiElimina
  3. Oddio Annalisa è vero! Ci ho pensato l'altro giorno, ma com'è che il tubetto del dentifricio non si arrotola più? Io ne ho sposato uno che lo schiaccia nel mezzo (si vede lo stesso, eccome) e se non lo sgrido mette i calzini bianchi... però ha fatto il militare quando era ancora obbligatorio a.. Montorio Veronese! Oddio quando hai nominato la caserma mi si è stretto il cuore!
    Che tempi.. che ricordi! Io ero quella tipo "Oh bella ciao" e lui avanti e indietro.. una vita fa ma ricordo tutto come fosse ieri!

    RispondiElimina
  4. Ps... e pèrchè le merende con la Razione K? O__o

    RispondiElimina
  5. e i tre giorni visti come un incubo da cugini e amici, ma nel contempo attesi con ansia?
    I parenti militari ospitati nei pomeriggi di licenza e rifocillati nemmeno fossero profughi?

    Devo andare a comprare il libro di Guccini... credo che sarà un rilassante ritorno al passato...
    (ops, ma sono davvero così "vecchia" per ricordarmi tutte le cose di cui parla Guccini?)

    RispondiElimina