Ero piccola quando con i miei
genitori si andava a piedi al Cimitero Monumentale di Verona.
Si faceva una lunga passeggiata, scendendo dalla Valdonega lungo l’Adige fino al
grande viale alberato che conduceva all’Albergo dei due Leoni, come è
bonariamente chiamato il nostro cimitero cittadino.
Infatti due grandi leoni in pietra fanno da guardia ai lati dell’ingresso.
Seguendo la tradizione ci si andava esclusivamente in questi giorni e poi
per tutto l’anno non ci si pensava più.
Mi piaceva camminare sotto i lunghi porticati dove ci sono le tombe
ottocentesche.
Statue e fregi bellissimi, bassorilievi e scritte poetiche.
E’ come visitare un museo e leggere un romanzo nello stesso tempo.
Sculture annerite dal tempo e nomi scoloriti avevano un fascino speciale
per me.
Al centro, in piena terra, centinaia di tombe più modeste, coperte di fiori
multicolori.
Era allegro.
C’era da girarlo in lungo ed in largo per andare a trovare tutti i parenti.
Bisnonni, prozii, una nonna mai conosciuta, vecchi vicini di casa di mia madre.
Ascoltavo con interesse tutti gli aneddoti sulle varie persone: la prima
moglie del nonno, così altera, però si era sposata incinta…
La prozia zitella
che era rimasta a badare ai vecchi genitori mentre mio nonno si trasferiva per
lavoro a San Daniele del Friuli, il bisnonno che era stato mandato al confino perché
era socialista, la prozia che si era sposata per procura con il figlio dell’ambasciatore
argentino, inetto ma ottimo pianista.
Io non ero triste.
Anzi ero affascinata e pensavo che avrei potuto scrivere
un romanzo prendendo spunto da ogni vecchia lapide che leggevo.
Una volta finito tutto il giro, tornavamo verso casa fermandoci in pasticceria
a comprare un sacchetto di Favette dei Morti, dei dolcetti di pasta di mandorle
dai colori pastello.
Non rispetto più la tradizione della mia famiglia ed anzi non ricordo
nemmeno dove sono sepolti tutti i lontani parenti le cui storie mi affascinavano
tanto.
So solo dove è sepolto mio padre e non mi piace saperlo lì, nei sotterranei
dove sono relegati quelli che si sono fatti cremare.
C’è troppo colore nel cimitero in questi giorni.
Ci andrò più avanti, quando i fiori saranno
appassiti e non disturberanno la mia tristezza.
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Anche il cimitero di Monza, dove sono i miei nonni e bisnonni, è così. E io bambina ero come te, affascinata dalle storie che mia mamma e mia zia raccontavano camminandoci dentro.
RispondiEliminaIo però ammetto che subisco ancora quel fascino. Mi dispiace per la tua tristezza ma ovviamente la comprendo. Mi auguro che prima o poi possa diventare serenità.
Che bello il commento di Lallabel. E bello il tuo post.
Eliminami hai fatto tornare alla mente le giornate dei morti passate con i genitori, e per noi piccoli era quasi divertente perchè, essendo un paesello ci incontravamo con gli amici e correvamo per quei lunghi viali di cipressi e foto.
RispondiEliminaTi abbraccio forte.
C'è stato un periodo, quando avevo circa 17 anni che passavo pomeriggi interi al cimitero, sulla tomba di mio padre e in quella del mio amico morto d'incidente. Mi calmava, il silenzio mi faceva riflettere e lì il dolore si diluiva. Poi non sono più andata. La pace l'ho trovata altrove ed altrove ho ritrovato i miei cari, morti.
RispondiEliminaE' bello pensare al cimitero come un posto sereno. Di pace e di ritrovo.
A presto
Raffaella
Anch'io ho un ricordo simile cara amica, con una simile conclusione..
RispondiEliminaNon vado sicuramente in questi giorni....
Adoro il silenzio in questi luoghi e la totale solitudine!
Ti stringo forte!