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sabato 17 gennaio 2015

É gradita la prenotazione



Avrei voluto scrivere proprio un post diverso.

Da due settimane pregustavo l’appuntamento di questa mattina: avrei assistito alla presentazione del nuovo libro di Alberto Angela presso la Cantina di Borgo Rocca Sveva a Soave.

In quanto buoni clienti (sia come privati che come azienda per conto di mio marito) siamo nella loro mailing list e ci inviano sempre gli inviti ai loro eventi.

Non avevamo mai partecipato perché di solito erano in giorni e orari troppo scomodi per noi.

Però questo sembrava perfetto: sabato mattina alle 10,30 e la possibilità di incontrare un personaggio che ammiriamo e seguiamo da sempre.

Così avevo prenotato subito due posti a nostro nome e avevo ricevuto immediatamente la conferma e ieri la riconferma: ci aspettavano!
Già mi vedevo a fare domande, chiedere l'autografo sulla mia copia, farmi fare la foto per il blog...

Alle 10,15 arriviamo a Soave e ci accorgiamo che c’è uno strano movimento: troppe macchine, tutti i parcheggi esauriti.
Impossibile avvicinarsi alla cantina.

Riusciamo a trovare un buco dalla parte opposta del paese e corriamo verso il nostro appuntamento, ma già davanti l’ingresso si capisce che sono tutti lì, una massa eterogenea che spinge per entrare.

Due signorine distribuiscono il buono per un bicchiere di Durello.  
Nessuno chiede la prenotazione.
Allora chiediamo noi e con un sorriso una di loro trova un foglietto con una quindicina di nomi e annuisce dicendo: “Eh sì, siete i primi della lista!” senza che questo significhi nulla ovviamente.

Infatti la grande sala da 2500 posti è già strapiena e ci sono solo posti in piedi.
Un caldo terrificante e un tavolo in un angolo dove tutti si fionderanno alla fine per accaparrarsi il bicchiere di spumante gratuito.
Là in fondo due poltroncine dove il nostro eroe si siederà intervistato da qualcuno di cui non saprò mai il  nome.

Mentre guadagnamo velocemente l’uscita, restituendo il  buono per il bicchiere di Durello, facciamo in tempo a sentire alcuni che accalcandosi all'ingresso chiedono “Ma ci elo che parla?” “Boh, uno de la television”…


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giovedì 18 settembre 2014

Alienazione




La mia serata di ieri: due ore a ricoprire i testi scolastici di mia figlia mentre uno stupido film con Jennifer Lopez scorreva in sottofondo.

E’ liberatorio confessare le proprie debolezze: ebbene sì, io mi rilasso ricoprendo con perizia i libri. 




Compro i rotoli di pellicola trasparente e li ritaglio a misura.
Niente di preconfezionato. Non vale.

Ripiego le parti in eccesso all’interno, attacco la sua brava etichetta bianca sul davanti e guardo soddisfatta la pila salire.

Questo fin dalla prima elementare. 
Adesso è in quinta liceo e soffro perché è l’ultimo anno. 
Oppure si possono ricoprire anche i testi universitari?

Lei mi guarda comprensiva, come si fa con i matti che non bisogna contraddire e magnanima dice che non è un lavoro così necessario, anzi.

Ma a me piace farlo. 

Compriamo da sempre libri usati, quando possibile. 
Sono spesso rovinati, pieni di orecchie e piccoli strappi.
Lì io godo: scotch e ferro da stiro alla mano li riporto a nuova vita e poi via con la copertura plasticosa.

Non venitemi a dire che molte cartolerie offrono il servizio di ricopertura a caldo.  Non mi interessa.

Alla fine dell’anno scolastico molti dei costosissimi testi non sono stati neppure aperti. 

I professori spesso distribuiscono fotocopie o attingono dalla rete per spiegare qualche argomento ma la farsa della infinita lista di libri continua ogni anno.

Noi cerchiamo di rivenderli: sono come nuovi.  

Spesso non riusciamo dato che i docenti adottano nuovi testi e quindi i nostri sono inutilizzabili.
Uno spreco di denaro e carta che mi disturba parecchio.

Buttarli non se ne parla. Accumuliamo. 
Non so neppure io per chi o per cosa.
Ma i libri non si possono buttare (salvo quelli tributari, che si possono bruciare impunemente per scaldarsi, cit. “The day after tomorrow”…).

Non ho ancora finito: oggi mi aspettano i due volumi di filosofia e Lezioni di letteratura latina. 

Nel frattempo li sfoglio pure: sono materie che una perita aziendale come me non ha mai neppure sfiorato. 
Mi perdo tra gli argomenti e penso alla asincronia tra obbligo e desiderio di studiare, in mezzo ci passano vent’anni buoni.

Di “Chimica – concetti e modelli” mi affascina solo la copertina: una tavoletta di cioccolato fondente con i simboli degli elementi incisi su ogni quadrotto…

Rosa fresca aulentissima: questo è un bel titolo, musicale e gioioso. 
Su uno dei volumi c’è Charlie Chaplin che porge un fiore ad una ragazza.

Fatemi dare un’occhiata, dai….
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martedì 12 agosto 2014

All'ombra del nocciolo



Oggi ho finito di leggere questo romanzo. 
Il caso vuole che proprio il 12 agosto di 70 anni fa accadesse un fatto tremendo che è esattamente il fulcro della storia raccontata in questo libro: la strage nazista di S.Anna di Stazzema.

Massimiliano di Nicolantonio, l’autore, è una di quelle persone che ho conosciuto navigando in rete. 

Assieme alla moglie cura un blog molto divertente, I viaggi di Maya, che racconta le vicissitudini di due genitori con un paio di figli piccoli alquanto vivaci.

Fatto sta che commentando qualche suo post ed avendo alcune conoscenze virtuali in comune, è stato così gentile da chiedermi l’amicizia su Facebook.

Non ci scrive molto, ma quando lo fa è sempre interessante leggerlo. 


Mese dopo mese tra le varie notiziole sui figli, sul frutteto che ha impiantato o sui problemi in ufficio, apparivano anche segnali strani, accenni su qualcosa che stava scrivendo, su alcune ricerche che stava svolgendo.

Anche acquisti particolari, tipo una fonovaligia e alcuni vecchi dischi a 78 giri, che poi ho scoperto avere il loro posticino in tutta questa faccenda.

Il tutto ha portato alla bella notizia che aveva finito di scrivere un romanzo e che sarebbe stato pronto per la stampa nel giro di poco tempo.

Infatti dall’inizio di luglio “All’ombra del nocciolo” è disponibile in libreria ed anche in e-book.  

Una bella soddisfazione per lui ed un omaggio a suo nonno – protagonista della storia – veramente prezioso.

Prezioso per noi e per le generazioni future, perché certi avvenimenti non devono essere dimenticati e quando si ha l’opportunità come Max (mi permetto di usare il suo diminutivo vista l’inconsueta lunghezza del suo nome e cognome…) di sentirli raccontare dai diretti interessati è quasi un dovere trasmetterli e farli conoscere a tutti.

La storia inizia in Sardegna nel 1942, ma il nostro protagonista dovrà raggiungere gli zii a Forte dei Marmi e da lì alcuni mesi dopo l’armistizio, tutti saranno costretti a sfollare verso Sant’Anna di Stazzema per sfuggire ai nazisti.

Ma la furia nazista purtroppo si abbatterà sulla povera gente che si era rifugiata tra i monti impossibilitata ad eseguire l’ordine dei tedeschi di raggiungere Parma senza mezzi di trasporto e 560 tra donne, uomini e bambini saranno barbaramente uccisi.

Scopriamo così che questo eccidio non è stata una punizione per aver aiutato i partigiani, ma solo un atto terroristico per far capire cosa capitava a chi non eseguiva gli ordini delle SS.

Il romanzo comunque ha un respiro molto più ampio: racconta di fatti quotidiani, di persone, di come era vivere nella paura costante, nell’incertezza del futuro, sempre affamati, sradicati e vulnerabili.

Ci descrive fatti che per nostra fortuna non appartengono più all’Italia, ma che purtroppo appartengono a milioni di altre persone nel mondo dove guerra e fame la fanno ancora da padrone.

Max ha scritto molto bene, è stato accurato e sensibile, senza cadere nella facile retorica alla quale spesso siamo stati abituati quando di tratta di fascisti e partigiani.

Invidio Max, sia per la sua bravura di scrittore che per la possibilità che ha avuto di farsi raccontare questa storia direttamente dal nonno.

Mio padre era militare in Sardegna proprio nel 1942 e tutto quello che so è che pativa la fame e delle donne vestite di nero gli hanno regalato del formaggio di capra che lui descriveva come il più buono che avesse mai mangiato.

Della sua prigionia in Corsica, del suo arrivo a Salerno e della sua lenta risalita fino a Verona so pochissimo, alcuni accenni alla distruzione di  Montecassino e poi basta.

Non ne parlava volentieri e ora è troppo tardi per fare domande.

Ringrazio quindi Max per avermi fatto conoscere un po’ meglio l’ambiente e molte delle sensazioni che anche mio padre probabilmente ha vissuto e provato.
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domenica 1 giugno 2014

Il conforto della scrittura




Che bella invenzione la scrittura!

Poter fissare sulla carta (vera o virtuale) i nostri pensieri, le nostre inquietudini e le nostre gioie.
Poter leggere quelle degli altri.

Io, nel mio piccolo, ne so qualcosa e sapere di poter trasferire nel blog le mie emozioni, i miei ricordi e tutto quello che non riesco a dire a parole mi è di grande conforto.

Ci sono persone però che sono molto più brave di me e trasformano il loro vissuto - passato e presente -  e i sentimenti che ne derivano, in poesia.




Venerdì pomeriggio siamo stati invitati alla presentazione del nuovo libro di poesie di Nedda Lonardi Sterzi, la mia deliziosa vicina di casa, già citata nel post dedicato al suo cagnone Urian.

Intanto la cornice dell’avvenimento era di quelle pregiate: la Biblioteca Capitolare di Verona. 


Risale al V secolo e al suo interno contiene manoscritti, incunaboli, pergamene e 72.000 volumi preziosissimi.
Vi hanno studiato tra gli altri Dante Alighieri e Francesco Petrarca.



Sedersi nella sala grande, circondati da volumi antichissimi, sapere che Papa Giovanni Paolo II l’ha visitata con grande ammirazione, ha reso l’atmosfera ancora più magica.



Nedda scrive sia in italiano che in veronese e ci parla di cose apparentemente semplici, di ricordi, di nostalgia, di amore per i suoi cari e per la natura.
In poche righe ti fa sbirciare nel suo cuore che è grande e un po’ timido.

Nella bella presentazione che le ha scritto Mons. Alberto Piazzi, per 28 anni curatore della Biblioteca, si legge che “la poesia è partecipazione vera e sentita anche nelle piccole e umili cose” che è esattamente quello che penso anch’io.


Sarà che conosco un po’ la storia di Nedda o che osserviamo la stessa natura dalle nostre finestre, ma in alcune sue poesie mi ci sono proprio trovata, come avvolta da pensieri che avevo avuto ma non ero stata capace di esternare.

Ci si è chiesti, all’inizio della presentazione, se la poesia ha ancora un senso di questi tempi. 
Se c’è spazio per qualcosa che non sia materiale, pratico, utile nel senso stretto del termine.

La conclusione per me e per i presenti era ovvia.  

Sì, lo spazio, anzi il baratro che spesso si apre nel nostro animo in questa società così competitiva, talvolta superficiale e insensibile, va proprio riempito di arte, di belle parole, di suoni melodiosi, di profumi, insomma di quella bellezza intangibile che è fondamentale per distinguerci dai calcolatori elettronici e non farci inaridire del tutto.


IL PICCOLO PETTIROSSO

Un batuffolo di piume
il piccolo pettirosso,
uno svolazzo nella mia casa.

Avrei voluto trattenerlo,
stringerlo a lungo tra le mani;
non ho rubato un attimo
alla sua tensione al volo.

Un colpo d’ali, un frullo.
Improvvisa inversione di ruoli:
per lui il libero azzurro cielo,
per me una gabbia dorata.

Poesia tratta da “Nel respiro del tempo” di Nedda Lonardi Sterzi – Gabrielli Editori