Terzo appuntamento con la grande fotografia.
Dopo Henri Cartier Bresson ed Ansel Adams stamattina è stata la volta di Robert Capa, in esposizione agli Scavi Scaligeri fino al 16 settembre.
98 scatti che raccontano il lavoro di un grande fotoreporter, morto troppo giovane ma esattamente dove voleva essere: vicino alla scena da riprendere.
“Se le vostre foto non sono abbastanza buone, non siete abbastanza vicino”.
Infatti è saltato su una mina antiuomo mentre riprendeva la guerra in Indocina, nel 1954.
Delle centinaia di foto che ho visto negli ultimi mesi, queste sono state decisamente le più toccanti.
La paura e il dolore negli occhi delle persone fotografate è tangibile.
La cruda realtà delle città bombardate e dei profughi in fuga è fissata per sempre in queste immagini che uniscono nello stesso dramma popoli lontani e guerre diverse.
Dalle lotte dei partigiani antifranchisti all’invasione del Giappone in Cina, dalla liberazione di Parigi nel 1944 alla difficile nascita di Israele nel 1948.
Facce impaurite, mamme disperate, poveracci in mezzo a cumuli di macerie, ma anche volti speranzosi e maree di persone che gioiscono alla notizia della liberazione.
L’americano ucciso da un cecchino in Francia ha il sangue che scorre lungo il braccio che sembra allargarsi in una pozza sotto i nostri occhi.
Il miliziano spagnolo che cade imbracciando il suo fucile sta morendo ancora in questo momento.
Mi sono commossa. Fatti accaduti prima che io nascessi erano lì a ricordarmi quanto siamo stupidi e cattivi.
La triste consapevolezza che documentare queste brutture non serve a farle cessare.
.
.
.
Nessun commento:
Posta un commento