sabato 2 febbraio 2013

Fiori di cactus



Fin da piccola mi piacevi. 
Quando i miei genitori dicevano che saremmo venuti a trovarti io ero felice.

Tu e tua moglie vivevate in una casa tutta diversa dalla mia.

Non divani di velluto e mobili in stile, ma pelle e acciaio. 
Non stampe inglesi ma quadri di cavalli al galoppo o forme geometriche dai colori forti.

E poi lei: la lava lamp.  
La mettevate in funzione per tempo, in modo che quando fossi arrivata le bolle stessero già salendo e scendendo pigramente.
Avrei potuto stare ore a guardarla. 

Col tempo avevate aggiunto un’altra meraviglia: la lampada a fibre ottiche.   
Come una grande attinia dalle punte colorate e luminose che girava lentamente.

Non eravate riusciti ad avere figli ed avevate un debole per me. Lo sapevo.
Questo trattarmi da grande. Chiedermi di raccontare. Ascoltarmi con attenzione. 
Guardare ammirati i miei disegni e volerne tenere qualcuno da incorniciare.

E poi c’era King. Diminutivo di King Kong era la tua scimmietta di razza uistitì. 
Uno scricciolino di una trentina di centimetri che scorrazzava per casa.   
Tranne in inverno quando stava rintanato in una specie di sacchettino appeso al termosifone e sbucava con la sua testina da idolo amazzonico, curioso come solo le scimmie sanno essere.
Ladro di uova, scappava tenendone una sotto ogni braccio e lanciava urletti dal lampadario o dalla cima della libreria.
A te ubbidiva abbastanza e si appollaiava sulla spalla, giocherellando con il lobo del tuo orecchio o tentando di spulciarti in mezzo ai tuoi capelli dal corto taglio a spazzola.

Anche fisicamente eri particolare. 
Alto, sempre con la maglia a dolcevita, l’accento francese. 
Eri un barone, di antica nobiltà ma molto decaduta. E sei sempre stato troppo onesto per fare soldi. Troppo signore.

La tua infanzia era trascorsa a Ginevra e ne sapevo poco. 
Solo che quando andavamo in Turchia dovevamo comprare i Lokum perché erano dei dolcetti che ti ricordavano una pasticceria dove andavi da piccolo.

Morto King, che custodivate in una bella scatoletta di legno wengè in salotto, avete preso Papik, un gattone bianco che vi ha fatto compagnia per 18 anni.

Poi avete deciso che eravate troppo vecchi per prendere un altro animale che avreste fatalmente lasciato orfano e così ti sei dedicato alle piante.  

L’unica persona che conosco che riproduce i gerani raccogliendone pazientemente i semi.   
Poi la passione per le piante grasse e le succulente che riempivano il tuo piccolo balcone.

Anni fa me ne hai regalata una.   
Fiorisce tutti gli anni e ha fatto tanti figli che ho trapiantato e che stanno crescendo pronti a fiorire a loro volta.

Vedi, anche se ieri ti ho salutato per l’ultima volta, la vita continua.
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