Oggi mia figlia ha il primo dei due giorni di autogestione
previsti dal suo liceo.
Ecco, già in questa frase non sentite qualcosa che stride?
Previsti.
A me, adolescente negli anni di piombo, questa cosa in fondo
deprime un po’.
Dunque ogni anno nelle scuole superiori si decidono due
giorni, strategicamente vicini alle vacanze di Pasqua, di “gestione autonoma
del tempo scolastico da parte degli studenti”.
Vale la pena analizzare tutta la questione perché è
decisamente tragicomica.
Molti ne approfittano per allungare le vacanze, sia con il
beneplacito della famiglia che all’insaputa della stessa.
Per gli altri, quelli diligenti, il programma è ben
definito.
Manifestazione principale e graditissima della due giorni è
lo Student's Got Talent, dove decine di aspiranti cantanti e gruppi si esibiscono
davanti ai loro compagni che li giudicano.
Per l’occasione è stata affittata
una sala concerti al Palazzo della Gran Guardia dato che non bastava l’aula
magna.
Per chi ritiene di non essere portato per il mondo dello
spettacolo ci sono interessantissime alternative: corso per preparare le
crepes, torneo di twister, corso di fotografia, lezione di russo.
Ma c’è qualche sopravvissuto della mia epoca che si ricorda
com’era la vera autogestione?
Era una
cosa che nasceva dopo tutta una serie di assemblee e di picchetti, dopo che il
fastidio per un certo modo di insegnare e un certo modo di gestire la scuola
raggiungeva il punto di non ritorno.
Ragazzi in eskimo con l’altoparlante tenevano banco per ore,
abbarbicati in cima alle scale.
Ed era tutto un proporre cambiamenti e soluzioni
alternative.
Portare libri con versioni diverse della storia o della
filosofia che ci insegnavano.
L’impressione era di poter cambiare le cose.
Se si cantava, si cantavano le canzoni dei cantautori e non
era raro commuoversi di fronte a un’idea e infervorarsi, sentirsi galvanizzati.
Pronti a combattere per migliorare le cose.
Se da una parte sono contenta che mia figlia non debba ogni
mattina fare la conta dei propri amici che sono stati pestati a sangue durante
la notte, dall’altra mi chiedo se questa bambagia nella quale la sua
generazione è cresciuta non l’abbia privata di qualcosa.
E comunque mi ritrovo a pensare che se i risultati di tanto
impegno giovanile hanno portato l’Italia al punto in cui è oggi, non ho nemmeno
il diritto di condannare questa generazione di giovani i cui ideali si
riassumono nel possedere l’ultimo tipo di smartphone.
Resta il fatto che chiamarla autogestione continua a
suonarmi come una bestemmia.
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In pratica la penso e la sento come te. Anche se non ho vissuto gli anni delle vere autogestioni, mi sembra che fare lo student's got talent sia una cosa assurda... mi aspettavo il corso di cake design.
RispondiEliminaCi vedo disillusione.Con tutti i pro e i contro che porta con se.
RispondiEliminaBuona settimana :)
Gli anni in cui ho fatto le superiori io (metà anni '90) si faceva autogestione già strategicamente vicino ai weekend, ma almeno si stava a scuola e si parlava dei problemi della scuola, di politica, e non si facevano certo audizioni di canto/ballo. Sono d'accordo con te, quella dei giorni nostri non è autogestione, è piuttosto una gita!
RispondiEliminaHai riassunto il mio pensiero nelle tue ultime righe. Forse è la nostra generazione ad aver sbagliato qualcosa...
RispondiEliminaUn abbraccio,
Monica