Ho quella che si definisce una memoria di ferro, ma questa mattina sto facendo fatica.
Sto cercando di ricordare come ero io da adolescente. Come mi vedevo e quali erano le mie paure, i miei complessi ed i miei sogni.
Vorrei farlo per capire meglio mia figlia e sostenerla in questo momento dove pare che niente di lei le piaccia e che tutto quello che la circonda le dia fastidio.
Ha deciso di anticipare la sveglia alle 6,20 per potersi truccare e sistemare i capelli prima di andare a scuola.
In ogni caso i capelli non vanno mai bene: se lasciati naturali, cioè mossi, dice che pare una signora con la messa in piega, se tirati con spazzola e phon stanno gonfi, se piastrati poi comunque con questa umidità si arricciano, il cerchietto fa bambina ed il fermaglio non è mai quello giusto.
L’occhio sinistro viene bene, il destro è sempre diverso…e poi ha deciso che ha un occhio più piccolo dell’altro e mi guarda accusatoria.
Gonne no perché ha le gambe grosse, jeans sì, ma dipende.
Questi fanno il culo basso, questi fanno le cosce da rana.
Questa maglietta mi tira, si vede la pancia. Questa andrebbe bene se fosse di un altro colore, quest’altra dovrei essere più magra.
Quando mai mi sono comprata queste scarpe che cammino come una scema. Le perderò per strada.
Le All Stars hanno la punta stretta, meglio le Vans. Perché ho il piede largo?!
Perché non sono alta come te? Perché non sono magra come te?
Forse perché qualcosina c’entra anche tuo padre? Lui giocava a rugby, hai presente?
Le rispondo che ho abbondantemente il triplo dei suoi anni, che come difetto mi pare più che sufficiente.
E mi sono ricordata com’ero a quindici anni: allampanata, piatta come una tavola, brufolosa.
L’unica cosa che mi piaceva di me erano le mani. Per trovare un uomo che le apprezzasse ho dovuto aspettare anni…
Andavo a passeggio con la mia amica Elena, piena di curve, bionda e pelle di pesca, incontrando ragazzi che lei continuava a presentarmi, perché non si ricordavano mai di avermi già conosciuta.
Ero così insignificante e goffa che mi vengono i brividi solo al ricordo.
Avevo i denti sporgenti, come adesso del resto, ma allora mettevo sempre la mano davanti quando ridevo. Mi truccavo gli occhi sospirando, perché non erano grigi come quelli di mio padre.
Là fuori il mondo era ostile. Esattamente come lo è per mia figlia ora.
Io sognavo l’Inghilterra e lei sogna il Giappone.
Solo lontano si pensa che potremmo essere a nostro agio, tra persone diverse da quelle che incontriamo tutti i giorni, ai nostri occhi grette e vuote.
Ci vuole tempo per capire che tutto parte da noi, che quello che c’è intorno non è determinante.
La strada da percorrere per trovare l’autostima è lunga, cercherò di accompagnarla, tanto anch’io non ci sono ancora arrivata del tutto…
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